Occhi fissi su uno schermo quando lavora, sguardo rivolto al cielo quando è in giardino a fare il barbecue. Il maggiore Tom Egan (Ethan Hawke), quando è di turno, uccide i talebani, poi "cede il comando" e torna a casa dalla moglie e i figli. E' ancora un pilota dell'Aeronautica Militare USA, Tom Egan, ma non vola più: no, il soldato "guida" aeromobili a pilotaggio remoto, meglio conosciuti come droni. Da una cabina di un avamposto militare sperduto nel deserto del Nevada, a qualche chilometro da Las Vegas. E da lì, premendo qualche pulsante, contribuisce al programma antiterrorismo portato avanti dal governo americano. Una "comodità" ben accolta dalla moglie e dai figli di Tom, che in questo modo non rischia la pelle ed è sempre di ritorno a casa, ma che per l'uomo inizia a rappresentare un problema...

Al regista di Gattaca e Lord of War, Andrew Niccol, va riconosciuto il grande merito di aver portato sullo schermo il primo film incentrato sull'utilizzo dei droni. Per ammissione dello stesso regista, però, Good Kill - in concorso a Venezia 71 - sembra non volersi schierare "politicamente" sull'oggetto che racconta, ma prova ad indagare le conseguenze dal punto di vista umano, prendendo come paradigma la figura di un pilota che non riesce ad abituarsi a quell'idea di guerra. Il cortocircuito è reso alla perfezione già dalle prime battute del film: Tom Egan centra l'obiettivo, finisce il turno, abbandona il container da dove "guida" il velivolo, sale sulla sua Pontiac, prende l'autostrada e torna verso Las Vegas: qui, in uno dei tanti piccoli market della città, il commesso lo guarda e gli chiede se la divisa che indossa è vera: "Oggi ho ucciso sei talebani in Afghanistan", la risposta del maggiore. Che per la vita familiare sembra aver inserito il pilota automatico, però: è questa la scissione che regola le giornate di Tom, giorno dopo giorno sempre più desideroso di tornare a volare, di ricominciare a provare paura, di combattere senza considerarsi un codardo.

Andrew Niccol segue una linea retta, ci mostra l'assurdità di questo nuovo modo di concepire la guerra, "senza sporcarsi", alzando il tiro quando in gioco entra anche la CIA e i tanti, troppi "danni collaterali". Ma si ferma sempre un attimo prima, non giudica, non porta l'argomento agli occhi dell'opinione pubblica, non cerca il terreno di un dibattito che, francamente, all'interno stesso del film correva il rischio di diventare strumentale, nonché banale. No, Niccol si interessa di un uomo che smette di sentirsi tale, che si rifugia nell'alcool e che continua a guardare il cielo: per tornare a volare o perché sa che un giorno, magari, in quel mirino potrebbe finirci anche lui.

Un film, Good Kill, che va dritto all'obiettivo, proprio come lo strumento che racconta: ma che rischia di affogare nelle paludi di un finale giustizialista ("ad personam"...) francamente ambiguo e tutt'altro che liberatorio.