Premettiamo che per chi scrive esiste una pregiudiziale partigianeria nei confronti di Laura Linney, eccellente interprete sottovalutata dal grande pubblico, ancor prima di aver visto P.S., secondo titolo in concorso per la SIC. Se poi il film di Dylan Kidd è un ritratto fatto su misura per la Linney, che ne evidenzia le doti recitative e matura bellezza, il gioco è fatto... La Linney è la star di questo piccolo film indipendente (produce la Hart-Sharp Entertainment, quella di Boys don't cry) che circumnaviga le relazioni amorose della 39enne Louis Harrington, responsabile delle ammissioni alla Columbia University's School of Fine Arts. Divorziata dal donnaiolo Gabryel Byrne, Louise si invaghisce del giovane studente F. Scott che deve superare la prova di ingresso alla prestigiosa facoltà newyorchese. Giocato tutto su atmosfere sospese, su impercettibili ellissi, su dialoghi che richiamano il più vitale Woody Allen, P.S. è un ode al lavoro dell'attrice con una macchina da presa che si incolla addosso alla protagonista e la segue passo passo in questo itinerario sentimentale fatto di affetti familiari e di amori sofferti. Sospiri intensi, sorrisi tirati, sguardi ammalianti, pianti improvvisi e sommessi, la Linney è un vulcano attoriale ripreso continuamente in primo piano: abbigliata con vestitini leggermente demodé, si muove con naturalezza in una New York autunnale mostrando il proprio viso e corpo che probabilmente non hanno ancora subito ritocchi artificiali. Non va scordato l'apporto di Kidd che al secondo lungometraggio riesce già a lasciare un'impronta indelebile nell'impostazione del narrato, nel linguaggio da usare, nelle misure da prendere quando la spinta del giovane regista è tutta per lo strafare. P.S. è un film terribilmente maturo che quasi stona nella categoria delle opere prime della SIC. Dal prossimo One Wild night (da un soggetto di Jon Bon Jovi) speriamo di vedere Kidd tra quelli che si contendono Leoni...