In Sri Lanka si ammassano corpi. Per fuggire dalla guerra civile, un ex combattente (Antonythasan Jesuthasan), una donna (Kalieaswari Srinivasan) e una bambina di 9 anni (Claudine Vinasithamby) diventano "una famiglia" in fretta e furia, senza essersi mai visti prima. E' l'unico modo per provare a fuggire. E raggiungono Parigi, dove vengono sistemati in un agglomerato di una banlieu malfamata. L'uomo, Dheepan, inizia a lavorare come tuttofare nei vari palazzoni: fa le pulizie, ripara le cose. La donna, Yalini, accetta di prendersi cura di un anziano ammalato. La bimba, Illayaal, non senza qualche difficoltà, prova ad integrarsi nella "classe speciale" della scuola di quartiere. E giorno dopo giorno, i tre quasi si convincono di essere diventati una famiglia. Una vera famiglia. Ma i loschi traffici che giorno e notte vengono gestiti dentro e fuori quei palazzi finiranno per minacciare la loro illusione.

Il regista Jacques Audiard
Il regista Jacques Audiard
Il regista Jacques Audiard
Il regista Jacques Audiard

Jacques Audiard torna in concorso a Cannes (dove vince la sua prima Palma d'Oro) tre anni dopo Un sapore di ruggine e ossa e lo fa con un film che sembra voler rileggere gli elementi fondanti dei suoi due lavori precedenti, Il profeta e, appunto, Un sapore di ruggine e ossa: da una parte la storia d'integrazione - che nel Profeta era quella di un giovane uomo chiamato alla "trasformazione" per poter sopravvivere in un carcere, qui è quella di tre persone che fuggono da una guerra per finirne in un'altra -, dall'altra l'interesse nel provare a sviluppare una love story partendo da un'angolazione differente, da premesse anomale. Il film funziona, e bene, su entrambi i livelli: Audiard non smette di manipolare il suo cinema, come sempre alternando pedinamenti ad astrazioni, tenerezze e brutalità. Una scena caotica per catturare quel momento carico di paure e speranza prima di salire a bordo della barca che li porta via da quella terra insanguinata, e subito dopo lucine fluorescenti che illuminano a intermittenza il buio di un futuro ancora da costruire, delineare, per poi trasfocare sul volto di Dheepan intento a vendere cerchietti luminosi e ammennicoli vari per le strade di Parigi: Audiard è questo, lo è sempre stato, cineasta a cui non serve molto per far comprendere allo spettatore un ambiente, una situazione (ci basta scorgere di sfuggita le "vedette" sul tetto del palazzo per capire quello che accade lì intorno) e che, allo stesso tempo, ama indugiare, insistere su altri dettagli, atmosfere, per fuggire dal naturalismo di un racconto e condurlo verso altri lidi.

Dheepan
Dheepan
Dheepan
Un'altra scena di Dheepan

"Integrazione", dicevamo: Audiard sembra voler portare in superficie proprio questo ragionamento, che dal lavoro sulle immagini si trasferisce nella profondità della storia. La vera chiave di Dheepan - l'attore protagonista è stato realmente, tra i 16 e i 19 anni, membro della LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam) - è allora quella di voler capire che cosa succede quando il migrante, il rifugiato politico, chiunque insomma è costretto ad abbandonare la propria terra, si ritrova a dover affrontare non solo una trasformazione sul piano sociale, esteriore, "artificiosa", ma anche più intima, nascosta, domestica, "naturalista". E' dentro le quattro mura di un appartamento fatiscente che quella di Dheepan riesce a farsi davvero "famiglia", a integrarsi, al netto di un contesto nuovamente ostile. Che giocoforza riporta in superficie il passato da cui si era fuggiti. Per fuggire di nuovo, e ritrovarsi ancor più famiglia di prima.