Andrea Arnold deve tutto a Cannes. Qui la filmaker britannica ha conquistato la vetrina internazionale portando a casa un doppio Premio della giuria, con Red Road (2006) e Fish Tank (2009). Cannes invece deve ben poco ad Andrea Arnold. Non era costretta dunque a riprenderla in concorso con il suo lavoro peggiore, che è anche il primo realizzato negli Stati Uniti.

Incurante dei decenni passati dall'esplosione delle ultime nouvelle vague e arrivando decisamente tardi anche sul cinema naturalista, scorbutico e asintattico di un Harmony Korine o di un Larry Clark, la Arnold si getta in un progetto decisamente azzardato, raccontare - da straniera - i mille volti dell'America senza partire da una sceneggiatura, ma proprio partendo e basta.

Armata di macchina a mano e di una sconfinata fiducia in se stessa, si imbarca con un gruppo di giovani e debuttanti attori in un road movie picaresco e decisamente millennial, che attraversa il paese - l'entroterra, il Midwest - per coglierne anime, umori e sapori. Da Kansas City a Rapid City, dall'Iowa al Dakota, incontriamo case coloniali, adepti battisti, cappelli texani, slam che puzzano di disperazione, Walmart e McDonald's, laghi e silos, tutto un paesaggio geografico e sociale che ha l'handicap della seconda visione. Fosse solo questo.

Dentro questo itinerario poco chatwiniano e miseramente esotico, la Arnold ci infila il ritratto di una generazione tutto cazzeggio e musica ITunes, che deve vendere sottoscrizioni per una societa' editrice rappresentata in loco da un'arpia bionda. Il cameratismo, i riti,  la promiscuita' persino, sono foraggiati perche' cementano il gruppo, mentre le relazioni affettive piu' vere, come quella che coinvolgerebbe la protagonista Sasha Lane con il personaggio di Shia LaBeouf, sono osteggiate perche' intralciano gli affari. Insomma giovani, carini e svitati si', ma il denaro prima di tutto.

E a riprova della natura profondamente affarista della comitiva si potrebbe anche citare il discutibile sistema di incentivi e disincentivi (la giornata del perdente e altre amenita' simili), ma potete sempre rivedere quel Tutta la vita davanti che Virzi' ha diretto secoli fa raccontando benissimo questo fenomeno da fidelizzazione aziendale nazista.

A farla breve, American Honey di Andrea Arnold è un inutile, pretenzioso e alla lunga irritante on the road di 3 ore, che attraversa l'America di mezzo senza un'idea, un guizzo, uno scampolo di verità o un personaggio che catturi la nostra simpatia. Lo stile "fresh", il taglio semidocumentaristico, le lunghe e ripetute sessioni di karaoke collettivo, le appenna accennate interazioni, il rifiuto dello psicologismo a favore dei primi piani epidermici, i tampax gettati per terra, i falli sventolati come bandiere e tutta questa sconcertante esibizione di finta genuinita' d'accatto, evidenziano soprattutto l'ansia di uno sguardo che non sa cosa e come guardare, che resta sempre in superficie. Nouvelle vacue.