Farà storcere il naso a molti critici di casa nostra l'esordio nel lungometraggio di Piero Messina, L'attesa. Già li sentiamo: estetizzante, compiaciuto, arrogante, persino odioso. Potrebbe invece piacere più al pubblico.

Piero Messina mette il talento davanti al film. Da questo punto di vista il regista calatino, classe '81, è degno allievo di Paolo Sorrentino, un altro che ha più fan tra gli spettatori che critici a favore. Il talento esibito è un esercizio democratico.

Di Sorrentino è stato assistente  in una manciata di film (This Must be The Place e La grande bellezza), con lui sembra condividere l'idea di fondo che il cinema sia soprattutto una questione di stile (ma Messina è meno affabulatore e più cartesiano dell'altro).

In effetti L'attesa vive di stratificazioni continue, di immagini il cui contenuto non è mai custodito in un nocciolo interno ma si trova sempre fuori, come un effetto di regia, sul dorso di sovrapposizioni successive (stilizzazione della messa in scena, angoli di ripresa insoliti, maniacale attenzione al dècor, al sound, alle luci, ecc...) che lavorano di continuo la materia ottica grezza, facendo del mostrare - sempre - un evidenziare.

Però che gusto. E poi questo principio di superfetazione, questa grossa ciambella col buco che è il film, ha anche una scusante nella storia che racconta e che si regge su un Assente. Un vuoto in mezzo. Il figlio morto della matrona fatto diventare il fidanzato "lontano" della ragazza straniera, da rimpianto a desiderio. Film di donne e di fantasmi, di crepe e vertigini di cuore, e di manipolazioni, per schermare il dolore, truccare la vita. Ispirato a una novella pirandelliana e ambientato in una villa decadente nell'aspra campagna siciliana (Chiaramonte Gulfi), L'attesa ricorda un po' il Godot di Beckett e molto L'avventura antononiana, dove la sparizione di Lea Massari era il motore del racconto e la stessa ingegneria poetica del film.

Il cinema di Messina, ancora così acerbo eppure così vivo e insolente e orgogliosamente borghese, sembra strutturarsi attorno a questo Vuoto, lo guarda e ne ha paura, lo costeggia e lo nasconde, ne sta alla larga. E mette continuamente in scena questa dinamica, i drappi di velluto sugli specchi, le finestre chiuse, la processione mascherata e ovviamente le bugie della protagonista. Brava la Binoche, ma che sorpresa Lou de Laage!

Accattivante la colonna sonora (pezzi originali del regista e pezzi celebri, come Missing di XX e Waiting for the Miracle di Leonard Cohen) .

Gli uomini sono sempre muti o di passaggio. Il mondo è delle Madonne e per il loro patire. Così oscenamente bello.