I gatti persiani

Kasi az Gorbehaye Irani Khabar Nadareh

3/5
Indie-rock e tanta energia per disseppellire l'underground iraniano: Bahman Ghobadi e una Teheran mai vista

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IRAN 2009
Teheran. Negar e Ashkan tentano di mettere su un gruppo musicale coinvolgendo altri musicisti. Tuttavia, coscienti del fatto che in patria non riusciranno mai ad esprimersi come vorrebbero, i due cercheranno di convincere i loro compagni a lasciare clandestinamente l'Iran. Ma senza soldi e senza passaporto l'impresa si rivela piuttosto ardua.
SCHEDA FILM

Regia: Bahman Ghobadi

Attori: Negar Shaghaghi - Negar, Ashkan Koshanejad - Ashkan, Hamed Behdad - Nader

Sceneggiatura: Bahman Ghobadi, Roxana Saberi, Hossein M. Abkenar

Fotografia: Touraj Aslani

Montaggio: Hayedeh Safiyari

Altri titoli:

On ne sait rien des chats persans

Les chats persians

Nobody Knows About The Persian Cats

Durata: 101

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 35 MM

Produzione: BAHMAN GHOBADI, MEHMET AKTAS PER MIJ-FILM, MITOSFILM

Distribuzione: BIM (2010)

Data uscita: 2010-04-16

TRAILER
NOTE
- FILM D'APERTURA DELLA SEZIONE 'UN CERTAIN REGARD' AL 62. FESTIVAL DI CANNES (2009) DOVE HA VINTO UN PREMIO SPECIALE EX-AEQUO CON "LE PÈRE DE MES ENFANTS" DI MIA HANSEN-LØVE.
CRITICA
"Il film è paradossalmente 'lieve', un tour tra gruppi rock a caccia dei componenti di una banda disposti a suonare in un concerto a Tehran e poi a fuggire all'estero. Un tipo comico e un po' fanfarone promette a Negar e Ahkan permessi e passaporti, ma il suo pusher sarà arresta. L'odissea dei due ragazzi è cadenzata da video-clip su Tehran, scatti amorevoli sulla città, i poveri, i clochard, le donne velate, neri fantasmi tra grattacieli, ragazzi in magliette heavy metal, capelli lunghi, jeans, una foto di Marlon Brando nel 'Selvaggio', un'altra di Humphrey Bogart, un merlo in gabbia chiamato Monica Bellucci... contraddizioni tra una società dai gusti globalizzati e un apparato di guardiani di chissà che." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 15 maggio 2009)

"Scritto assieme a Hossein M. Abkenar e alla fidanzata Roxana Saberi - finita sotto i riflettori del mondo per il processo, conclusosi pochi giorni fa abbastanza felicemente, in cui era stata accusata di spionaggio a favore degli Stati Uniti e che ieri notte era data in partenza da Teheran per gli Usa o per Cannes -, il film segue le disavventure di un ragazzo e una ragazza, Ashkan e Negar, decisi a emigrare per poter coltivare la loro passione per la musica. (...) Un mondo che nessuna autorità avrebbe autorizzato a mostrare e che infatti Ghobadi ha filmato senza permesso, in 17 giorni, spostandosi in moto con i suoi musicisti, con una piccola telecamera digitale perché il materiale a 35 mm è di proprietà dello Stato e a un regista così non l'avrebbe mai dato. E usando persino i dvd illegali dei suoi film per corrompere i poliziotti che per due volte avevano voluto arrestarli. Ghobadi non parla mai direttamente di argomenti politici (se non in un'esilarante scena di processo-ramanzina inflitta a Nader, una prova d'attore che meriterebbe da sola l'Oscar) ma mostra la corruzione diffusa e la brutalità della polizia e sfrutta la mobilità delle riprese per iniettare nel film un ritmo e un'energia immediatamente coinvolgenti. Come l'entusiasmo contagioso dei suoi protagonisti, disposti anche ad andare in prigione per soddisfare la loro passione e pronti a mettere nel conto anche la crisi di latte di un gruppo di mucche che non sembrano apprezzare per niente le prove di un complesso metal nella loro stalla. E anche se la durezza e la crudeltà della realtà finisce per entrare nella storia, il tono del film non è mai lamentoso, ma sempre sorretto da un'ironia capace di riscattare la disperazione della realtà." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 15 maggio 2009)

"Un'opera capace di raccontare la vitalità di una generazione perfetta rappresentazione di una pentola che sta per esplodere. Da Cannes il primo urlo di libertà." (Andrea Martini, 'Quotidiano Nazionale', 15 maggio 2009)

"Storia politica e personale, che passa dall'essere un 'Buena vista social club' iraniano a un ritratto intimista di una generazione repressa nei suoi impulsi emotivi ed artistici. Film giovane come da Teheran forse non ne sono mai venuti, sa giocare su più registri, da quello comico-chiassoso del traffichino Hamed Behdad, jolly straordinario per i cui occhi passano tutte le emozioni contraddittorie del film, a quello più drammatico di un finale che non scende a patti con la vitalità di tutto il film. Uno splendido e durissimo confronto con la dura realtà questa docufiction, fotografia di un paese che ha in sè una cultura straordinaria - e una creatività e un senso estetico unici - ma che da decenni combatte contro la follia fanatica del Potere politico-religioso. Se 'Persepolis', con un bellissimo biopic animato, ci mostrava attraverso una ribelle la storia recente di un grande paese governato da piccoli uomini, qui scopriamo quei giovani che la loro lotta quotidiana la vivono picchiando sulle batterie, suonando la chitarra, cantando indie rock e rap duri e puri (quello nel film ha un testo anticapitalista che dovrebbe diventare un inno). E alla fine si ha voglia di trovare la colonna sonora e di urlare di rabbia." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 16 maggio 2009)

"Dal regista del 'Tempo dei cavalli ubriachi', una discesa nel panorama forzatamente underground dell'indie-rock made in Iran: 'I gatti persiani' di Bahman Ghobadi è il tallonamento neo-neorealistico di una giovane coppia di musicisti, che vorrebbe mettere in piedi un gruppo. Frustrati dalle proibizioni del regime, che da 30 anni bandisce la musica occidentale, i due progetteranno la fuga, con passaporti e visti falsi... Girato in soli 17 giorni (si vede) e senza autorizzazioni, nato dall'amore di Ghobadi in cameo - per la musica, stigmatizza sulla propria pelle il 'C'era una volta del felice cinema iraniano': se i Cavalli erano lirici e commoventi, questi Gatti sono poveri e randagi, pasciuti negli inserti videoclip ma affamati da una docu-fiction che di necessità civile fa al massimo virtù informativa. Suo malgrado." (Federico Pontiggia, ''Il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2010)

"Un anno dopo la presentazione a Cannes,'I gatti persiani' rinnova e aumenta oggi la sua carica vitale e critica nei confronti del despota Ahmadinejad che stronca il libero arbitrio ed imprigiona i suoi migliori intellettuali, vedi Panhai. Come Asghar Farhadi, di cui vedremo 'About Elly', anche Bahman Ghobadi, già autore del 'Tempo dei cavalli ubriachi', fa parte della nouvelle vague iraniana che abbandona il plus valore ieratico e quel sentimentalismo neo realista che hanno fatto trionfare i film iraniani nei festival, per sposare la causa della denuncia fatta con un quasi documentario 'rubato' in 17 giorni di riprese nella quotidianità 'non autorizzata' di Teheran, dove il regime proibisce vita sociale di cani e gatti e libera espressione musicale. (...) Il ritmo stesso è musicale, strattonato nel montaggio che ruba voci volti, con alcuni refrain sentimentali, non estetizzante. Mai come in questo caso il giudizio non deve essere astratto ma vivo perché, dice il rapper, la musica fa parte della società dove nasce, cresce, si diffonde. - Curioso notare come questo film libero e bello, didascalico senza volerlo, dinamico come l'imprevedibilità della vita e della musica, sia speculare al 'Concerto' dove profughi russi ebrei mirano a Parigi per suonare Ciaikovskji. (...) Il titolo richiama un inevitabile paragone: questi ragazzi, come i gatti persiani, che sono ricercati, devono vivere ed esprimersi nascosti: agli occhi dell'Islam la musica è impura in quanto fonte di allegria e di gioia (e rapporti sociali!). Figurarsi il cinema. Eppure questo coraggioso regista che, non riuscendo a lavorare in altro modo, s'è inoltrato a proprio rischio e pericolo in cantine buie, neo catacombe di Teheran, improvvisando un soggetto, garantisce il riscatto proprio con una testimonianza visiva (documentario, finzione, video clip) e per la prima volta testimonia della generazione che resiste, non si allinea nè si adegua all'infamia paritetica della politica liberticida e del fanatismo religioso che, giustamente, considerano il cinema un nemico perché esso non ha nulla da nascondere." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera", 16 aprile 2010)

"'Kasi azgor behaye irani kluzbar nadareh' era il titolo del film che partecipò a Cannes nel 2009. In Italia diventa 'I gatti persiani' e sotto questa nuova identità c'è voluto un po' per identificarlo. Il premio - simbolico della giuria del 'Certain Regard' gli giunse per incoraggiarne l'intento politico, nell'esiguità dei mezzi. Lo spunto - due musicisti freschi di prigione vogliono espatriare per vivere in regime di libero rock - meritava quaranta minuti e ne ha avuti cento. Nella realtà il regista Ghobadi ha poi fatto una settimana di gaIera, ma non per espatrio: per rimpatrio (da Cannes)." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 16 aprile 2010)