Magnificat

ITALIA 1993
Sotto gli spalti di un castello medioevale del decimo secolo, per ordine del signore del luogo, viene eseguita una feroce decapitazione in pubblico, ad opera di Folco, un impassibile boia, assistito da Baino, un giovane non ancora indurito, ma accuratamente scelto fra tanti come apprendista boia. In seguito, nel corso di un'agghiacciante esercitazione di apprendistato, il giovane deve assistere, inorridito, a una seconda atroce esecuzione, che tocca questa volta a una giovane vagabonda ritenuta strega. Dopo tale "preludio" i due s'incamminano verso il convento della Visitazione, il convento del Magnificat appunto, che domina silenzioso e isolato una lontana vallata. Verso la stessa meta si trovano incamminati per vie diverse e per diversi motivi altri pellegrini: Roza la favorita di un re per chiedere la grazia di partorire un maschio che le assicuri la successione al trono; Margherita un'ingenua ragazzina "ceduta" come novizia al Convento in cambio di una macina da mulino; un re libertino, che vuol finire i suoi giorni in quel Convento, e ci arriva scortato da uno stuolo di figli illegittimi; un monaco itinerante, che passa di monastero in monastero per registrare i defunti delle varie comunità, e muore "non registrato" e ignorato da tutti; due sposi che si uniscono in matrimonio alla presenza di rappresentanti della Chiesa e del potere, e sotto gli occhi di una piccola folla che li spia anche nei momenti di maggiore intimità. Tutti approdano a quel Convento come un'oscura ricerca, i cui momenti vengono scanditi dalle celebrazioni che si susseguono durante i giorni della settimana santa. Alla fine un qualche segno di vita e di liberazione viene percepito unicamente dalla giovane Margherita, la novizia forzata che sogna la libertà.
SCHEDA FILM

Regia: Pupi Avati

Attori: Luigi Diberti - Signore di Malfole, Arnaldo Ninchi - Folco, Massimo Bellinzoni - Baino, Brizio Montinaro - Signore di Campodose, Dalia Lahav - Roza, Lorella Morlotti - Venturina, Consuelo Ferrara - Badessa, Marcello Cesena - Agateo, Davide Celli - Bagnaro, Massimo Sarchielli - Padre di Margherita, Andrea Scorsoni - Giovane signore di Malfole, Eleonora Alessandrelli - Margherita

Soggetto: Pupi Avati

Sceneggiatura: Pupi Avati

Fotografia: Cesare Bastelli

Musiche: Riz Ortolani

Montaggio: Amedeo Salfa

Scenografia: Giuseppe Pirrotta

Costumi: Sissi Parravicini

Aiuto regia: Gianni Amadei

Durata: 110

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: PANORAMICA A COLORI

Produzione: ANTONIO AVATI PER DUEA FILM, ISTITUTO LUCE ITALNOLEGGIO - PENTA FILM - UNION P.N.

Distribuzione: ISTITUTO LUCE ITALNOLEGGIO - SAN PAOLO AUDIOVISIVI

NOTE
- REVISIONE MINISTERO MARZO 1993.
CRITICA
"Film forse percepito come favola moderna, corale, di un'umanità disorientata, che barcolla, oggi come ieri, alla ricerca di qualcosa di impreciso, di un qualche punto di riferimento che non riesce a intravedere, di un qualche perché che dia senso al vivere e al morire. Film non facile, comunque, e tuttavia interessante per quel tentativo di rievocare una cultura mista di religiosità e superstizione, di crudeltà e di sogni, di determinazione e contraddizione, facendola apparire come metafora di una oggi per altri versi simile a quello, e ripetizione in chiave moderna dei sentimenti, i vizi, gli abusi, le inquietudini e le aspirazioni di sempre. Film che non propone nulla di preciso, ma crea ambienti e atmosfere che invitano a riflettere, il senso di nullità e di vuoto che esige per contrasto una qualche via d'uscita, con un perenne sottofondo di citazioni bibliche, brani evangelici ripetuti insistentemente, preghiere, simboli, suggestioni." ('Segnalazioni Cinematografiche', vol. 115, 1993)

"Con "Magnificat", film destinato a restare nella storia del cinema italiano, Pupi Avati pare voler aprire un terzo tempo nella sua narrativa." (Francesco Bolzoni, L''Avvenire')

"Abbandonate le storie corali emiliane contemporanee narrate in passato con tanta affettuosa crudeltà, intelligenza e malinconia, lasciata l'America provinciale dove ha girato gli ultimi due film, "Bix" e "Fratelli e sorelle", dislocandosi nel tempo e nel sentire Avati ha realizzato una delle sue opere più sorprendenti e anche inquietanti: si oscilla tra il sollievo di non essere nati alla vigilia dell'anno mille e il timore di trovarsi davanti a un medioevo prossimo venturo." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa)'

"Il film è forse il migliore uscito finora dalla fucina dei fratelli Avati, Antonio produttore e Pupi regista." (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera')