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Un docufilm collettivo di cinque grandi autori europei chiamati a raccontare i drammi e le rivoluzioni causate dalla pandemia nei propri paesi, ciascuno da una prospettiva particolare e intima e allo stesso tempo attenta al contesto sociale in cui prendono vita le singole storie.
"La morte addosso" (Death Close) - Indossa una maschera. Finge di essere un pigro passeggiatore, osservatore altrui; uno spettatore divertito. Come fa uno scienziato naturale con l'osso di una creatura sconosciuta, estrapola e ne forma il corpo intero nella sua mente. È la sua gioia; è la sua difesa; si gode la vita in modo da ignorare la morte. Ma la sua ombra lo sovrasta.
"Two Fathers" - Il giorno precedente all'inizio del lockdown, che ha paralizzato la Germania, muore inaspettatamente il padre ottantenne di Julia von Heinz. La regista poi scopre che era segretamente omosessuale e che aveva condotto una doppia vita. Viene sepolto il 29 maggio a Murnau in Baviera. Il padre elettivo di Julia ormai da molti anni è Rosa von Praunheim, eroe del cinema indipendente ed icona del movimento gay. Nella corrispondenza via mail con lui e tramite diversi altri contributi audiovisivi, Julia von Heinz si immerge a fondo nella vita del padre. Egli come Rosa è figlio della Seconda Guerra Mondiale, una circostanza che ha lasciato una forte impronta per tutta la loro vita. Un'esplorazione sullo sfondo dell'attualità quotidiana della crisi Covid, che sta mostrando alla nostra generazione cosa significhi vivere una crisi paragonabile alla guerra.
"Liberty, Equality, Immunity" - "Come sono sopravvissuto alla strategia svedese" è un saggio filmico basato sul montaggio di diversi materiali audiovisivi. Si inserisce nella tradizione di Mekas, Marker e Godard, con un tono umoristico e una buna dose di ironia. Attraverso telegiornali, estratti di social media, immagini dell'anno passato e ricorrenti citazioni cinematografiche dai film che mi hanno tenuto in vita durante la mia quarantena (volontaria), il cortometraggio espone come e perché la Svezia ha scelto un approccio difettoso alla pandemia, il che porta ad una riflessione sui fondamenti etici e morali di una società. Fin dove possiamo spingerci come gruppo per salvare i più fragili tra di noi? Possiamo fare e meno e sentirci comunque in pace con la coscienza? La riflessione è sovrapposta a quella sulla mia identità come cineasta francese in esilio, che sente una crescente alienazione in un paese adottivo, che ha imparato ad amare, mentre la popolazione attorno a me si lascia andare ad un più assurdo attacco di nazionalismo: la difesa ad ogni costo di una politica sanitaria nazionale fallita e del suo architetto, un incolore epidemiologo di dubbia competenza, inaspettatamente assurto al rango di icona nazionale.
"Mourning in the Time of Coronavirus" - Viviamo in parallelo il dramma privato di Michèle Anne, la moglie di Jaco, il cui padre è morto di Coronavirus senza che lei potesse nemmeno vederlo un'ultima volta, e il dramma collettivo della pandemia entrato nelle case attraverso la televisione. "Melodramma", twitta il Ministro della Salute quando i dottori lanciano i primi allarmi. A marzo 2020, le case di cura vengono chiuse ai visitatori. Michèle Anne fa recapitare a suo padre un iPad, in modo che possano vedersi e parlarsi. Le case di riposo sono poco equipaggiate, il personale lavora senza mascherine e rischia la propria stessa salute. Il Ministro della Salute dichiara che "indossare la mascherina non ha senso da un punto di vista scientifico". Il padre di Michèle Anne risulta positivo al Covid-19. Viene isolato in una stanza con altri pazienti infetti. Un mese dopo, muore. Michèle Anne gli dà l'ultimo saluto tramite l'iPad. Il corpo viene sigillato in un doppio strato di plastica. Michèle Anne può solo vedere la bara in un parcheggio, prima che sia caricata su un furgone. I funerali sono sbrigativi. Sei maggio. Il Primo Ministro annuncia in TV il primo allentamento del lockdown. Fare kaywak è consentito.
"Isolation" - In tutta l'Europa, durante il lockdown, ci siamo ritrovati chiusi nelle nostre case, sperando di sopravvivere. Impossibilitati a lavorare, a vedere i nostri amici e le nostre famiglie. In un limbo che è durato per settimane. Per i richiedenti asilo, un limbo simile può durare anni. Come accaduto a noi durante l'epidemia, i rifugiati hanno dovuto rinunciare alla loro vita precedente. Possono tenersi in contatto con i loro parenti solo via telefono o Skype. Non possono lavorare. Attendono una chance di iniziare una nuova
vita. La speranza è che quanto abbiamo vissuto con il Covid-19 ci spinga a dare più peso e valore ai concetti di comunità e solidarietà. Esserci ritrovati nei panni di coloro che hanno perso tutto a causa di una guerra, della fame, di una dittatura o della povertà, forse ci spingerà a concedere loro quella speranza che abbiamo cercato per noi. La speranza di una nuova vita.