Se Gabriele D’Annunzio rese omaggio al compositore Giuseppe Verdi con la celebre frase “Pianse ed amò per tutti”, Indro Montanelli commemorò con queste parole la scomparsa di uno dei padri del Neorealismo: “Non piangete per Cesare Zavattini, ha già pianto lui per tutti noi”.

Non si può negare che molti dei suoi lavori abbiano commosso (se non addirittura straziato) generazioni di spettatori, eppure, secondo Suso Cecchi D’Amico, lo sceneggiatore, scrittore e poeta di Luzzara “aveva un buffo modo di parlare, e occhi azzurri e sporgenti, con i quali io sostenevo che ipnotizzasse i produttori”, mentre, per Enrico Vaime, “Zavattini era affascinante, coinvolgente, estroverso, parlava in maniera alluvionale. Si entusiasmava per tutto ciò che faceva. Anche per le cazzate. Mi piacevano il suo modo di raccontare, la sua ingenuità, i suoi stupori. Aveva una visione fanciullesca della vita”.

E alluvionale è stata anche la sua creatività, che trova un parziale sbocco in Soggetti cinematografici mai realizzati (Marsilio, pagg. 520, € 30,00), primo volume del progetto Edizione Nazionale delle Opere di Cesare Zavattini. La raccolta, curata da Nicola Dusi e Mauro Salvador, vuole da un lato “mostrare l’officina delle scritture” di un autore così prolifico (non a caso Gian Piero Brunetta lo definì una sorta di Sherazade al maschile, “cantore e depositario della voce collettiva”) e, dall’altro, permettere al lettore di “entrare nell’ecosistema Zavattini” utilizzando un ingresso alternativo ai testi più autorevoli e favorendo così una rilettura della storia della settima arte attraverso le lettura di tali materiali, provenienti dall’Archivio Cesare Zavattini, costituito da oltre milleseicento fascicoli e conservato alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia.

Come scrive nella premessa del volume Orio Caldiron, “Zavattini incarna in modo esemplare la figura dello scrittore di cinema, l’ispirata coscienza artigianale dell’inventore di film” e, all’interno del panorama italiano, “è il solo a rappresentare in modo straordinariamente vivo gli splendori e le miserie del mestiere di sceneggiatore, sempre in lotta con la fretta della macchina-cinema, l’invadenza dei registi, l’approssimazione delle strutture produttive”. Nonostante abbia firmato almeno quattro capolavori per Vittorio De Sica (Sciuscià, 1946, Ladri di biciclette, 1948, Miracolo a Milano, 1951 e Umberto D., 1952) e collaborato con registi del calibro di Michelangelo Antonioni Mauro Bolognini, Mario Camerini, René Clément, Giuseppe De Santis, Federico Fellini, Pietro Germi, Alberto Lattuada, Mario Monicelli, Elio Petri, Dino Risi, Roberto Rossellini, Mario Soldati, Luchino Visconti e Damiano Damiani, non si può soprassedere sul fatto che la sua foltissima filmografia (citando ancora Caldiron) “rappresenta la punta dell’iceberg delle centinaia di soggetti e delle migliaia di pagine di interventi, varianti, postille, dichiarazioni, appunti, lettere, testi e diari a cui sono affidate le sue attività – l’affollato intreccio che anima per tanti anni il “pianeta Zavattini” –, la sua profonda carica innovativa, la sua sorprendente capacità di folgorazione”.

I soggetti contenuti nel volume sono cinquantotto (su un totale di circa centosessanta titoli archiviati), vanno dagli anni Trenta (il primo, La casa dei tic nervosi, fu scritto per Totò nel 1932 attingendo tanto alle gag visive del genere slapstick quanto alle trovate paradossali della screwball comedy) agli Ottanta (La bomba, 1985), passando dalla parodia del detective movie (Agenzia Volpe, 1936) al ritratto femminile di una moderna protagonista disillusa (Diario di una donna, 1963), dalla riflessione metacinematografica (basta pensare a Tu Maggiorani, 1950, dedicato al protagonista stesso di Ladri di biciclette) a quella autobiografica declinata in chiave simbolica e non (L’ultima cena, 1972), fino alla ricerca spasmodica del film capace di raccontare il nostro paese (Italia mia, 1951) e di buttare via i copioni per farsi “grido della realtà”.

I criteri di selezione (enunciati da uno dei due curatori, Nicola Dusi) abbracciano tre specifiche tipologie: i soggetti già usciti su riviste o antologie tematiche (e che quindi sono stati indicati come rilevanti dallo stesso Zavattini oppure dai suoi eredi), quelli depositati presso la SIAE (dunque contrassegnati da un’ufficialità giuridica) e le cosiddette “prime idee” per un film, ovvero tracce volutamente semplici o imperfette da sviluppare in lavori a venire.

Nel suo Diario cinematografico (1960), Zavattini (da sempre convinto che la cultura coincidesse con la creazione stessa della vita e che non ci fosse arte più libera di quella apertamente “antiletteraria” capace di far comprendere l’esistenza) affermava che “è un danno non fare un film quando lo devi fare; come un quadro si fa in quanto passaggio a un successivo quadro, altrettanto è con i film, ed è mostruoso questo pestar l’acqua nel mortaio. Davvero si arrossisce continuando a ripetere per anni il nome di un film che si ha nel cassetto, e credo seriamente che questo costituisca una remora spirituale”. Per il lettore, invece, poter attingere al suo cassetto (anche se sarebbe meglio dire “armadio”) dei progetti non realizzati rappresenta un arricchimento culturale, cinematografico e umano da non lasciarsi sfuggire.