Il titolo del film di Antonio Pietrangeli – di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita – dice Io la conoscevo bene, ma di Adriana Astarelli si potrebbe ugualmente dire “Io non la conoscevo affatto!”. A interpretare sul grande schermo questo rivoluzionario personaggio è una splendida Stefania Sandrelli, non ancora ventenne eppure già proiettata nella dimensione del divismo grazie ai film girati con Salce e Germi e alla chiacchierata love story con il cantautore Gino Paoli.

La pelle fragrante di mare raccontata dalla canzone Sapore di sale (1963) è, infatti, senz’altro la sua e Pietrangeli non può non iniziare da quella pelle, da quel giovane corpo di donna disteso sulla sabbia e lambito pigramente dai raggi del sole: è come se la macchina da presa si imbattesse in Adriana, nella sua sensualità candida e spensierata, quasi per caso e poi, fatalmente, non potesse più fare a meno di accompagnarla, episodio dopo episodio, versione dopo versione, parrucca dopo parrucca, umiliazione dopo umiliazione, fino a precipitare insieme a lei nel vuoto della sua ultima alba romana.

Ma chi è veramente Adriana? Una, nessuna e centomila: è la ragazza del momento, il simbolo di una generazione intera, quella dei Sessanta, imbevuta di mitologie esose e alienanti (la pubblicità, la moda, le feste, il ballo, i dischi, la radio, il cinema), una singolarità impersonale che si manifesta fra tante nullità, un tu – o il francese “toi” evocato dalla canzone di Gilbert Becaud che fa da sottofondo a una delle sequenze più memorabili, “eri tu ed eri là per me” – un’apparizione destinata a consumarsi nella fuggevolezza anonima dell’attimo.

Stefania Sandrelli (foto di Karen Di Paola)
Stefania Sandrelli (foto di Karen Di Paola)

Stefania Sandrelli (foto di Karen Di Paola)

Adriana è l’oggetto del desiderio, la seduttrice, la mannequin, la escort, l’aspirante attrice, ma è anche, più banalmente, la sedotta per eccellenza, la campagnola inurbata, la vicina di casa che all’occorrenza può fare da babysitter, la shampista palpeggiata dal datore di lavoro, quella che “resta incinta” e poi abortisce, la partner occasionale da raggirare, la ragazza disinibita da portare in camporella, l’amica di letto a cui chiedere di fare una telefonata che non si ha il coraggio di fare.

Incorporata nello squallore di un’umanità ingorda e cinica, Adriana rasenta la purezza di un minerale, sembra non provare nulla, come se non possedesse un’identità definita e, allo stesso tempo, non riuscisse fino in fondo ad essere altro, ad uscire da sé. Non è in grado di lasciare traccia nel mondo: è un riflesso, un involucro impermeabile, la base informe su cui applicare l’espressione tramite un trucco fatto di lugubri lacrime nere. Hanno scritto di lei che è l’eroina senza destino di un romanzo senza storia, la musa di una modalità narrativa che pone il suo marchio indelebile sulla modernità cinematografica.

E, grazie a questa metamorfica sconosciuta, Sandrelli ha dato credibilità e sostanza al nerbo di una carriera straordinaria che è giunta fino ai giorni nostri, rinnovandosi attraverso un dialogo avvincente con l’universo televisivo.