Partiamo dal fare chiarezza su un punto essenziale, una premessa che pare talvolta smarrita nel fluviale dibattito che sta accompagnando il film pubblicitario di Esselunga “Non c’è una spesa che non sia importante”, meglio conosciuto come “La pesca e la bambina”. Una campagna pubblicitaria e, nello specifico, un commercial di due minuti pensato per le reti televisive nazionali non è né un saggio di sociologia né un manifesto politico (anche se poi il dibattito che è seguito si è molto politicizzato).

Un film pubblicitario è un testo audiovisivo breve, talvolta brevissimo, che si dà l’obiettivo di condensare significati e connotazioni facilmente e immediatamente comprensibili da un pubblico largo con lo scopo di raggiungere obiettivi di comunicazione che vengono stabiliti e negoziati fra un committente (in questo caso una grande catena di supermercati) e un’agenzia pubblicitaria che sviluppa creativamente – in senso visivo e narrativo – il contenuto. In questo caso, come spesso accade in pubblicità, non è nemmeno questione di “vendere un prodotto” (il film non propone alcuna merce), quanto di contribuire a generare notorietà e a creare percezione del brand (Esselunga appunto). Da questo punto di vista “Emma e la pesca” non è solamente riuscito nell’intento. Di più, ha sbancato: gli stessi creativi dell’agenzia sono rimasti colpiti dal fatto che la classe politica nazionale – a cominciare dalla premier – si siano sentiti di commentare la campagna. Dunque, bingo: enorme discussione. Sul piano poi delle percezioni, Esselunga ha colpito altresì nel segno. Ne esce con un’immagine fortemente rinnovata, riposizionata in modo del tutto inedito grazie a una comunicazione completamente diversa rispetto a quella che gli omologhi e i concorrenti hanno fatto fino ad ora.

Ma ovviamente il piano “commerciale” e “comunicazionale” in questi casi di “esondazione” del dibattito è solo il punto di partenza. Perché “Emma e la pesca” sono entrati pienamente nel dibattito pubblico. Ma come ci sono entrati? La miccia è stata, come oggi accade quasi sempre, una montante discussione pubblica sui social. Ahinoi, il “dibattito social” è quanto di più distante da quello che si potrebbe definire un “dibattito razionale”, l’espressione di una sfera pubblica di habermasiana memoria. Al contrario, tende a essere semplificatorio, settario, ideologico, spesso stupido: ed ecco che lo spot è diventato, nel giro di pochi giorni, qualcosa che non è e non pretende di essere. Soprattutto nelle critiche, la campagna è venuta a rappresentare un modello quasi reazionario di racconto sulla famiglia, e di critica implicita alle conseguenze nefaste dello sfaldamento delle famiglie. Nel mondo dei social, e nel Paese dei guelfi e dei ghibellini, la contrapposizione netta, marcata, perfino violenta è la norma: o sei con Esselunga o sei contro (con Coop…?).

Virtù primaria di contenuti pubblicitari riusciti è proprio quella di essere “polisemici”, ovvero di prestarsi a letture diverse. E, in fondo, “la pesca e la bambina” non fa che raccontarci un tranche-de-vie di cui poi possiamo immaginare noi tutto il contesto: perché si sono separati i genitori? Sono divorziati? Che rapporti hanno? Come finirà la storia?

Se andiamo ad analizzare il punto di vista di chi vi attribuisce significati negativi, retrogradi o reazionari, la campagna di Esselunga fa due errori di fondo: semplifica una realtà complessa (ma è quello che la comunicazione pubblicitaria fa per lo più…) e fa appello su sentimenti elementari, “strumentalizzando” la sofferenza della bambina. Ed è proprio su questi due punti che “i critici” prendono gli abbagli più evidenti.

Certo, la pubblicità, come si è detto, è chiamata alla condensazione, a lavorare talvolta su stereotipi, su plot iper-semplificati, come in parte accade anche qui. Ma questa campagna funziona così tanto proprio perché sembra raccontare un lato della realtà che è nota a tutti, talvolta è stata anche vissuta con sofferenze simili a quelle di Emma, proponendo un punto di vista che appare però inedito, fresco, efficace.

Quanto al ricorso ai sentimenti, siamo di nuovo su una strada che la comunicazione pubblicitaria efficace percorre da sempre. Forse i creativi si sono ispirati anche alle vecchie campagne di Gavino Sanno per Barilla (ricordate, per esempio, quella della bambina che lascia un fusillo nella giacca del padre in partenza?). In questo caso non ci sono manifesti ideologici. Semmai, nella piccola, innocente bugia di Emma c’è il richiamo a una dolcezza e una gentilezza che per molti sembrano semplicemente fuori tempo, ma che – speriamo – non lo sono: siamo stati una famiglia, ci siamo amati, e una bambina diventata più adulta di tutti noi a ricordarcelo. La gentilezza è quanto dovremmo a Emma, dimenticando, per un attimo, il nostro cinismo.