Sylvester Stallone, Tulsa King (dal 25 dicembre sulla piattaforma Paramount +) è la sua prima serie streaming. Perché?
Sono in giro da tanto tempo, e qualcosa l’ho capita. Per First Blood (Rambo, 1982) ero l’undicesima scelta, sennonché i primi dieci hanno tutti rifiutato la parte. Che era grande: io lo sapevo, loro no. Cliffhanger lo stesso. Idem The Expendables, il cui concetto si può riassumere in cinque parole: un gruppo di mercenari cazzuti si reca su un’isola. Ha funzionato benissimo, e lo stesso accadrà con Tulsa King.


Streaming, si diceva.
Ho dovuto studiarlo. Vengo da un altro mondo, che è finito. Oggi la gente che prende le decisioni appartiene al reparto marketing e pubblicità, una volta erano i capi degli studios. Quando ho iniziato, quando ho girato Rocky, quando si giravano Taxi Driver e Il Padrino, sebbene fossero buone idee c’era chi avesse detto no, no, no, ma poi qualcuno ha deciso “ok, facciamolo”, viceversa, qui e ora se un progetto non ha senso intellettualmente, non ha senso matematicamente non si realizza.


Tulsa King?
Ha senso a ogni livello, lo streaming è il futuro: nessuno vedrà più i film indipendenti.


Su Prime Video l’abbiamo vista in Samaritan.
Un progetto costoso, abbastanza grande per competere con i Marvel, ma dopo due anni di pandemia me lo son detto anch’io, “questo non deve andare al cinema”, è un film da vedersi a casa. E ha avuto molto successo.


E le sale?
Temo vadano fallite. I film che ancora vi funzionano sono spettacolari, richiamano un pubblico giovane, sono costruiti attorno a personaggi DC e Marvel.


Samaritan invece?
Un vecchio uomo che ha dei poteri, ma non superpoteri: non vola, non ghiaccia la gente, può morire. Insomma, non va bene per la sala. Venticinque anni fa lo sarebbe stato, oggi no.


Eppure Top Gun: Maverick ha spaccato al cinema. Come se lo spiega?
Non l’ho visto, amici me ne hanno parlato benissimo. Hanno speso 250 milioni di dollari in effetti speciali, sembra un videogame.


Back in the days, Il Padrino?
Avevo ventiquattro anni, mi proposi quale comparsa per la scena del matrimonio, mi avessero messo dietro una colonna o la torta non mi importava. “Non so”, mi sentii rispondere, al che ribattei: “Non sembro italiano, davvero?”. Trentacinque anni dopo, la persona che mi ha detto no è diventata il mio agente.


Tanti ruoli, il più grande?
Se funziona, quello di Dwight “The General” Manfredi in Tulsa King: è il più unico di quelli che ho incarnato. Di film gangster ne abbiamo visti a iosa, sono molto stereotipati: “Che cazzo hai detto?” o giù di lì, pensavo di dover recitare così. Al contrario, è come Kafka, mi sveglio scarafaggio ma ho ancora la stessa personalità: sono un gangster, uccido persone, ma non sai lo faccio, sono il tipo che ti chiede “posso portarti qualcosa da bere?”. Questo spaventa e affascina al contempo: dispenso humour e felicità, ma poi mi trasformo in Rambo! Chiunque ha una figlia, segnatamente una figlia che venga molestata, si può identificare con Dwight; faccio a pezzi il cattivo, e il pubblico plaude: “Grazie per averci liberato di un pezzo di merda del genere!”.


E attorno a voi due?
Giovani, hippies, generazione Z, obesi, abbiamo tutte le creature possibili a Tulsa King: è come l’arca di Noè.


E poi c’è sua figlia.
Non volendo mi vedesse in gabbia, la allontano. Quando esco di prigione e torno a Tulsa, realizzo che l’unica persona ami al mondo è lei, che però mi odia: dunque, perché non ritrovare il suo amore? Un bel punto a favore.


Tatiana Zappardino, l’attrice che l’interpreta, come l’avete trovata?
Me ne hanno proposte cento, che pensavano fossero perfette: per carità, erano ok, ma non le sentivo. Tatiana l’ho scoperta due anni fa in una pubblicità: quando vedi uno spot venti volte spacchi la tv, con lei non è successo. L’ho imposta: se non mi credete, me ne vado. Era in Georgia, le hanno fatto il provino: legge, gira, conquista tutti. Mi era successa la stessa cosa con Mr. T, con Drago (Dolph Lundgren)…


Appunto, Rocky e Rambo: nessuna possibilità di rivederli sullo schermo?
Di Rambo c’è un progetto streaming per Amazon. Io passo, ovvero mostro al prossimo, al giovane le mie abilità. Avevo una grande idea per un prequel, avrei voluto tornare in Vietnam: nulla da fare, lo vogliono ambientare oggi. E non sarà facile, dico, trovare quel ragazzo: vedo tanti giovani che fanno arti marziali, ma per Rambo serve un vero maschio alfa. Non ci vuole un woke, ma un badass, e devi averlo in te, nel tuo Dna. Non basta, dev’essere anche sensibile: un killer empatico. Sarà difficile individuarlo, ma non diffido: Rambo è là fuori. @fpontiggia1