Non troviamo di meglio, per approcciare il venticinquennale di Festen, opera-Dogma del danese Thomas Vinterberg, che tornare a un pezzo del novembre 2003 della Rivista del Cinematografo a firma Giuliano Compagno. Passando da Monicelli, Scola e Bellocchio per arrivare a Uomini & donne, segreti & bugie dell’esordiente Eleonora Giorgi, contemplava “un secolo di contumelie e dileggi (non) sufficienti a distruggere” la più inossidabile delle istituzioni, la famiglia. E quindi annoverava Gide, che la raffigurava “focolari chiusi e porte serrate”; Canetti, “la struttura sociale più disprezzabile che l’umanità abbia espresso!”; l’immancabile Anna Karenina, che “le famiglie infelici sono infelici ciascuna a modo suo!”.

Oltre i confini nazionali, la planata cinematografica è su Festen, ovvero “ricorderete Festen…”, e quei tre puntini altro non sono che sospensione dell’incredulità – e della convenzionalità, e della convenienza borghese: “Quella famiglia in cui nessuno dei componenti ardisca all’ambizione della verità, ciascuno sentendo in cuor suo quanto la verità sia nemica, in quel caso dell’equilibrio”.

Ecco, a cinque lustri di distanza, di Festen fa specie l’intenzionale, radicale disequilibrio, e non (solo) per il prescritto uso della macchina a mano del primo film Dogma, ma per il disallineamento e la deflagrazione dell’istituzione in una dis-unione di famiglia che sarebbe passata alla storia, almeno cinematografica.

© WEBPHOTO Tre immagini di Festen - Festa in famiglia, diretto dal danese Thomas Vinterberg nel 1998 © WEBPHOTO
© WEBPHOTO Tre immagini di Festen - Festa in famiglia, diretto dal danese Thomas Vinterberg nel 1998 © WEBPHOTO
Festen © WEBPHOTO

Sottotitolo irridente Festa in famiglia, l’opera prima di Vinterberg, allora ventinovenne, prende il premio della Giuria a Cannes 1998, oscura il concomitante Idioti di Lars von Trier, e cantando il cigno lo strozza a mani nude e regia spoglia (ma codificatissima).

I legami di sangue divengono drammaticamente letterali, l’emofilia, che sintomaticamente è congenita ed ereditaria, diviene patologia poetica - e cifra simbolica. Non che scorra, il sangue, ma tutto il resto sì: “E si levò dalla sedia, pronunciò un disco – prendeva il polso Compagno – e disse la verità, ovvero l’indicibile, e allora tutto il castello crollò di schianto”.

Ma che bel castello Marcondirondirondello vuole la filastrocca per bambini, che invero palesava il lupo: dei Klingenfeldt, magnati dell’acciaio, il lupo è il pater familias, il sessantenne festeggiato Helge (Henning Moritzen), che il figlio Christian (Ulrich Thomsen) anziché incensare accusa di aver abusato di sé e della sorella Linda, morta suicida l’anno prima. Il padre finisce pestato dall’altro figlio, l’ubriaco Michael (Thomas Bo Larsen), e la mattina del nuovo giorno porterà forzato commiato, di Helge, e possibile affrancamento, di Christian. “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32), e chissà che quel nome non voglia evocare il dettato evangelico.

© WEBPHOTO Tre immagini di Festen - Festa in famiglia, diretto dal danese Thomas Vinterberg nel 1998 © WEBPHOTO
© WEBPHOTO Tre immagini di Festen - Festa in famiglia, diretto dal danese Thomas Vinterberg nel 1998 © WEBPHOTO
Festen © WEBPHOTO

Ecco, a cinque lustri di distanza, di Festen fa specie la concordanza, fuori squadra ma potente, con Get Out: centripeto Vinterberg, centrifugo Jordan Peele, entrambi a stigmatizzare falsi movimenti e fughe da fermo, entrambi a indulgere nell’horror, entrambi a sguinzagliare immagini per la caccia grossa. Sangue, si diceva, e come non prendere in conto il razzismo, la sopraffazione dei bianchi sui neri, il peccato non veniale né venale bensì venatorio.

Simul stabunt simul cadent, e lo schianto del castello disseppellisce certezze: così schietto e affilato, nel passare per le armi cinematografiche pedofilia e razzismo, istigazione al suicidio e altri cascami familiari, un film come Festen oggi dove lo troviamo? Domanda non retorica: in famiglia, eccome se lo (ri)troviamo. @fpontiggia1