Due forme di autocensura si sono palesate in queste settimane. Lo spot di uno snack e il Padiglione della Santa Sede alla Biennale Arte di Venezia. Due eventi che tipicamente per natura e finalità sono realizzati proprio per essere “mostrati” dai media – specialmente in un’era riconosciuta come la “civiltà delle immagini condivise” – ma che nei due casi indicati sono stati fatti oggetto di sorprendente autocensura.

Brevemente i fatti. In rete è disponibile il nuovo spot delle patatine “Amica Chips”, realizzato dall’agenzia Lorenzo Marini Group, regista Dario Piana (Sotto il vestito niente II) per Film Good. Mentre l’organo suona l’Ave Maria di Schubert, alcune giovani suore si preparano a ricevere l’Eucaristia dal sacerdote. Ma spiando dalla sacrestia la madre superiora si accorge che nel tabernacolo non ci sono più ostie consacrate. E così in chiesa ben presto si scopre la “malefatta”: al posto della particola consacrata una delle giovani suore riceve con devozione una patatina, così croccante che il suono echeggia tutto intorno, con la religiosa appena “comunicata” che sorride per il piacere al palato e il sacerdote esterrefatto per aver scoperto che la pisside contiene solo chips. Chi è la colpevole? La superiora, che seduta in sacrestia divora le patatine reclamizzate. Ed ecco il claim: “Amica Chips, il divino quotidiano”.

Le polemiche contrapposte non sono mancate: “È blasfemo”, “libertà di espressione”; “offende i credenti”, “innocente, anzi strappa un sorriso”. Mentre in rete lo spot circola in versione integrale, quella pensata per le tv è furbescamente emendata dal riferimento eucaristico diretto, ma la messa in onda è stata comunque bloccata – non dalla Chiesa – ma per “autocensura” dallo IAP, l’istituto di autoregolamentazione dei pubblicitari.

Dicevamo di un’altra forma di “autocensura”. Questa volta della Chiesa, più precisamente della Santa Sede che ha deciso di realizzare il suo padiglione alla 60° edizione della Biennale Arte di Venezia in un luogo inaspettato, il Carcere femminile dell’Isola della Giudecca. “Con i miei occhi”, il titolo dell’esposizione che insieme al tema complessivo del progetto vaticano suggerisce le modalità dello sguardo con cui questa esperienza dovrà essere affrontata dal visitatore. Fondazione Ente dello Spettacolo con GiGroup è partner di una delle opere esposte, la video installazione Dovecote, film realizzato dal regista Marco Perego, protagonista Zoe Saldana, con Marcello Fonte tra gli interpreti.

“Viviamo in un’epoca marcata dal predominio del digitale e dal trionfo delle tecnologie di comunicazione a distanza, che propongono uno sguardo umano sempre più differito e indiretto, correndo il rischio che esso rimanga distaccato dalla realtà stessa”, spiega il promotore di questa presenza, il prefetto del dicastero della Cultura e dell’Educazione della Santa Sede, il card. Josè Tolentino de Mendoza. Un percorso artistico aperto ai visitatori e realizzato in un carcere impone caratteristiche uniche. Oltre a rendere protagoniste le detenute come guide alla mostra e a collocare i visitatori in una dimensione altra, è impossibile vedere le opere attraverso le fotocamere degli smartphone (in un penitenziario non si possono introdurre telefoni o videocamere), così che ci si trovi a contemplare le installazioni senza mediazioni digitali, “con i tuoi occhi”. Si è quindi “obbligati” all’esperienza personale davanti alla provocazione artistica, non distratti dall’istinto di scattare foto o di come congegnare un selfie. E senza queste immagini non ci saranno condivisioni social: l’unica modalità di fruizione possibile sarà quella personale. Un invito a compiere l’esperienza direttamente, togliendo agli utenti delle piattaforme di condivisione digitale l’illusione di avere vissuto un evento che in realtà è tale solo se abitato di persona.

Una “autocensura” che non è provocazione di comunicazione, ma forma e sostanza di contenuti. Mentre nel caso dello spot quelle immagini cambiano i connotati ad una realtà per attirare l’attenzione mediante provocazione (una croccante patatina al posto del pane eucaristico consacrato, per un miliardo di credenti il Corpo di Cristo), nell’esperienza artistica “Con i miei occhi” l’obiettivo è dirigere lo sguardo sull’immagine della realtà cosi come essa si pone, senza contraffazioni, senza filtri social, impedendo distanziamenti dall’occasione in cui si rivela, come avviene mentre si riduce la memoria dell’esperienza a quella digitale dello smartphone e non alla memoria personale del cuore. Una missione decisiva, questa, per chi ha la responsabilità di creare per immagini: narrare non per provocare fratture o scandali che contrappongano ma realizzare opere che favoriscano la capacità di sostare insieme davanti alla realtà, cosi da diventare protagonisti di un’esperienza comunitaria che non falsi il reale, ma lo faccia crescere verso un futuro buono e condiviso.