Il cinema italiano perde una delle sue voci più discrete e profonde. Mirko Locatelli è morto il 31 maggio nella sua casa di Casorzo Monferrato, in Piemonte, dove aveva costruito una piccola factory di cinema indipendente insieme alla compagna e co-sceneggiatrice Giuditta Tarantelli. Aveva 50 anni e da tempo lottava con una malattia tenuta lontana dai riflettori, come tutto nella sua vita.

Nato a Milano nel 1974, Locatelli era rimasto tetraplegico in adolescenza dopo un grave incidente in motorino. Ma questa condizione, mai spettacolarizzata né trasformata in cifra identitaria, si è tradotta in un’idea rigorosa di cinema: asciutta, compassionevole, antiretorica, centrata sull’ascolto silenzioso del dolore, sullo studio del corpo come luogo di frattura e resistenza.

Il suo esordio nel lungometraggio, Il primo giorno d’inverno (2008), fu salutato con favore alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti. Seguirono I corpi estranei (2013), storia di due padri in un reparto oncologico pediatrico, interpretato da Filippo Timi, e Isabelle (2018), ritratto femminile crudo e lirico premiato a Montréal. Con La memoria del mondo (2022), Locatelli aveva osato un passo ulteriore: un’opera che fondeva installazione artistica e linguaggio cinematografico, presentata al Torino Film Festival.

Ma accanto alla sua carriera di regista, c’era un intenso lavoro di produttore e distributore: fondatore prima di Officina Film e poi di Strani Film, Locatelli ha sostenuto opere indipendenti, spesso “di confine”, come I cormorani di Fabio Bobbio e Effetto Thioro, documentario su identità e migrazione.

Il suo cinema si muoveva in uno spazio che sembrava custodire un’eredità europea — i Dardenne, Bresson, Haneke — ma sempre attraversato da uno sguardo personale: quello di chi ha fatto della disabilità una lente per osservare la fragilità universale, senza mai indulgere nel sentimentalismo o nel risentimento. La macchina da presa restava vicina ma discreta, i dialoghi ridotti all’essenziale, lo spazio lasciato al respiro delle immagini.

«Non ha senso sperare nei miracoli della medicina, ma in quelli del cinema», aveva dichiarato in una delle sue ultime interviste. E proprio il cinema come spazio di guarigione simbolica, come luogo per dare dignità al silenzio e alle ombre dell’esistenza, è stata la sua missione.

Stava lavorando a un nuovo progetto, Nel nostro giardino, racconto intimo e metacinematografico. Non è dato sapere se vedrà mai la luce, ma ciò che resta è un’opera compatta e coerente, capace di interpellare con urgenza e delicatezza lo spettatore.

Con la morte di Mirko Locatelli, il cinema italiano perde una coscienza inquieta e necessaria. I suoi film restano come mappe di un’umanità vulnerabile, da ascoltare con attenzione. Senza pietismi. Con verità.