Non fu un successo al box office: costato 28 milioni di dollari, né incassò 60 globalmente. Era il 2001, Zoolander uscì a  ridosso del 9/11: non era cosa, fioccarono le polemiche, non gli incassi. Eppure, il tempo sarebbe stato prodigo: l’homevideo ripagò assai, l’etichetta del cult venne cucita agli abiti degli ipermodelli Derek Zoolander (Ben Stiller) e Hansel (Owen Wilson), i fashionisti e non solo fecero passaparola, Zoolander divenne un must-see.

Il merito era di quei due, Derek e Hansel, “belli, belli in modo assurdo”, dispensatori di Magnum e Blue Steel face, antesignani del selfie e di tutte le bocche a culo di gallina di questo mondo. 15 anni dopo, sono tornati, e sono cosa, e casa, nostra: con buona pace di Milano (e Parigi), la location è la Città Eterna, Hollywood torna sul Tevere, il folle Jacobim Mugatu di Will Ferrell pure, mentre tra le new entry spiccano Benedict Cumberbatch, alias il pan-sessuale Tutto, e Penelope Cruz, un carriera da modella abortita per il seno generoso.

Da Cinecittà al Pantheon, l’Urbe è falcata in lungo e in largo e, altra primizia italica, scopriamo l’esistenza del “mono-matrimonio” contratto tra sé e sé… Egoismo ed egotismo da modelli, e l’universo della moda non esce bene, nonostante a differenza del primo capitolo qui abbia collaborato fattivamente: su tutti, Valentino Garavani.

Del resto, una Magnum sparata globalmente val bene una parodia benevola. Illustri, as usual, i cammei, da Anne Wintour a Sting e Justin Bieber, Zoolander 2 è iconico, nel senso che una sola posa artefatta di Derek e Hansel vale l’intera opera. Sceneggiatura tarocca, dialoghi alimentari e snodi alla meno peggio, il film rende (involontaria) giustizia al mondo della moda, dove la qualità del prodotto è (quasi) indifferente al successo mediatico e commerciale. Ciak, (ci) si sfili!