Ribelle? Mah. Stronzetto? Forse. Autore di stronzate? Sicuro. È il giovane Zlatan Ibrahimovic raccontato, per interposta autobiografia, da Zlatan, in cartellone alla XVI Festa del Cinema di Roma e dall’11 novembre 2021 in sala.

Non c’è il campione quarantenne di oggi, l’autoproclamato leone, il fuoriclasse (che sarebbe stato) capace di vestire la maglia dell’Ajax, la Juventus, l’Inter, il Milan, il Barcellona, il Paris Saint-Germain e il Manchester United.

I dolori del giovane Zlatan, sballottato tra padre e madre, futuro incerto e pancia vuota. Il ragazzino – è interpretato da Dominic Bajraktari Andersson (11-13 anni) e Granit Rushiti (17-23 anni) – che cresce a Rosengård, sobborgo di Malmö, ovvero sopravvive tra mancata accettazione, razzismo strisciante, autoemarginazione e carattere difficile.

“Ci siamo concentrati sulla storia non raccontata di un personaggio molto raccontato. I problemi affrontati, ovvero i problemi a comprendere quale fosse il suo problema”, osserva condivisibilmente il regista Jens Sjögren, che prende apertamente la strada del racconto di formazione, il coming of age anziché il dramedy calcistico. Piano umano anziché campo, lungo, da calcio.

Scritto da Jakob Beckman e David Lagercrantz, tratto dell'autobiografia Io, Ibra edita da Rizzoli che Lagercrantz ha scritto insieme allo stesso Ibrahimovic, il film non è disprezzabile, in primis per la bontà dei due Ibra, soprattutto Rushiti, che oltre a essere pure lui calciatore pare condividere con Zlatan la stessa cazzimma.

Zlatan c’è, ovvio, forse più dietro che davanti la macchina da presa, e accanto ai genitori, l’allenatore del Malmo primavera ci sono Mino Raiola, gustosissimo e nei fatti demiurgo dell’universo Zlatan, e Luciano Moggi in stile boss se non gangster, che lo preleverà dall’Ajax per portarlo a Torino.

Un prodotto medio che con un fuoriclasse come Ibra invero c’entrerebbe poco, ma chi ci assicura che non sia appunto il prodotto di un maniaco del controllo?