Biopic di ballerini se ne contano un numero considerevole, ma spesso il risultato ha accarezzato l’agiografia nonostante il tentativo di smorzarne gli effetti mostrando tanto il genio quanto la sregolatezza.

Yuli di Icíar Bollaín, nel narrare la parabola del performer cubano Carlos Acosta, riesce per sua fortuna ad allontanare lo spettro.

Il film, presentato al 12° CinemaSpagna, disegna un ritratto che segue la scia drammaturgica di analoghe operazioni. Non è Billy Elliot per intenderci, anche se gli highlights dall’adolescenza alla maturità diventano anche in questa occasione uno strumento di riscatto contro povertà, solitudine, sacrifici, infortuni e agguerrita competizione.

Non mancano spazi e salti emotivi di forte impatto, così come la poesia coreografica, ma nel complesso la regista punta quasi tutte le fiche a disposizione sul coming of age.

Ciò ha permesso all’opera di tracciare le tappe della vita di un ragazzo che ha dovuto bruciarle in nome del rifiuto di ogni forma di discriminazione e oppressione, sullo sfondo di una lotta continua con se stesso e con un padre severo che ha imposto al proprio figlio la strada da seguire per voltare le spalle alle restrizioni che attanagliavano Cuba dopo decenni di embargo.