Il termine “woodshock” si riferisce alla condizione psicologica di panico irrazionale provata dalle persone che si perdono nel bosco e non riescono più a orientarsi.

La storia di Theresa, la bionda protagonista del film, ha a che fare proprio con una perturbante foresta e con il trauma di una misteriosa perdita mai pienamente elaborata. La giovane donna vive in una sorta di perpetuo trance, causato dal consumo regolare di droga – insieme al marito coltiva e vende cannabis a uso terapeutico – e da un profondo stato depressivo, contro cui non riesce in alcun modo a reagire, legato alla recente scomparsa della madre (che le ha chiesto di aiutarla a morire dopo una lunga malattia).

Sospesa in un limbo allucinato tra il sonno e la veglia, Theresa sembra subire il richiamo di una forza misteriosa e sanguinaria che l’attira fatalmente verso gli alberi del bosco, inducendola a compiere atti di cui non conserva alcun ricordo.

Opera prima delle fashion designer Kate e Laura Mulleavy, fondatrici del marchio Rodarte, il film vuole essere una sontuosa riflessione psichedelica sull’inconscio e sulla depressione.

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Kate e Laura Mulleavy

Il racconto del delirio vissuto dal personaggio interpretato da Kirsten Dunst ci viene riconsegnato attraverso l’estetica patinata del videoclip, in un montaggio forsennato di riflessi, sovrimpressioni e distorsioni che alla lunga finisce per polverizzare completamente lo scheletro della diegesi – l’impressione è piuttosto quella di assistere allo spot di un profumo.

Le dinamiche di relazione tra i personaggi sono nebulose e le linee narrative secondarie non trovano sbocco. Su tutto troneggia questa figura femminile dissociata, un po’ vittima un po’ strega un po’ dea floreale, con cui è difficile entrare in empatia. Il felice connubio tra cinema e moda esemplificato dall’opera di Tom Ford qui è solo un lontano ricordo. Deludente.