Brady Corbet non è all’altezza, del suo esordio L’infanzia di un capo, che folgorò a Orizzonti nel 2015 (Leone del futuro e miglior regia). Non è all’altezza, l’opera seconda Vox Lux, perché Natalie Portman è più bassa dell’attrice cui succede nel dar corpo alla popstar Celeste, sopravvissuta da adolescente alla strage compiuta da un compagno a scuola.

Forse il suo nome è servito a chiudere il progetto, sta di fatto che Corbet quando dal 1999-2001, e da Raffey Cassidy, si passa al 2017, e a Natalie Portman, suicida il film, mandando in vacca un’alchimia di stile fascinoso (montaggio spiazzante, inquadrature sporche, score pazzesco di Scott Walker, con pezzi ad hoc di Sia) e poetica non peregrina (fama, sessualità, pop, religione, terrore, dai banchi di scuola al 9/11), almeno fin lì.

A quel punto sbraca tutto, e la Cassidy diventa la figlia di Celeste: capite, son giochetti poveretti, sanzionabili e punto, per tacere della respingenza isterica e verbosa di Natalie/Celeste. Comunque, ci sono anche Jude Law, ovvero il manager sboccato ma premuroso di Celeste, e Stacy Martin, la sorella di Celeste Eleanor, che è sempre un bel vedere, ma davvero la sensazione prevalente è di un film buttato via: la prima metà è tra le cose migliori dell’ottimo Concorso di Venezia 75, la seconda la vanifica irreparabilmente.

Rimane, buono, il pastiche di terrore e pop, che nell’alfabetizzazione Millennial è quasi un dittongo. Belli i video di Celeste, belle le sequenze a mano armata, sopra tutto l’attacco a Brac, in Croazia, con i killer che indossano le maschere glitterate di una sua hit. Ma che peccato.