E' l'unico italiano in competizione a Cannes, e ha un titolo che è memoria storica e, chissa', dichiarazione di intenti: Vincere. Dopo Il regista di matrimoni a Un Certain Regard nel 2006, Marco Bellocchio porta sulla Croisette - e  da oggi in sala con 01 - lo scandalo segreto nella vita di Mussolini: una moglie, Ida Dalser, e un figlio, Benito Albino, concepito, riconosciuto e poi negato. Due esistenze cancellate dal mondo e dalla memoria "riportate in vita" da Filippo Timi, nei duplici panni di Mussolini e Benito Albino, e Giovanna Mezzogiorno, ovvero Ida Dalser, "il pugile che non va mai giù", come la definisce l'attrice.
Accolta tiepidamente in proiezione stampa, l'odissea di Ida Dalser parte quando la donna, trentina, incontra il Benito Mussolini socialista e direttore dell'Avanti a Milano: se ne innamora e gli offre tutti i suoi soldi per fondare il Popolo d'Italia, il megafono del suo passaggio all'interventismo. Ida rimane incinta di Benito Albino, che il padre - che gia' aveva avuto Edda da Rachele Guidi - riconosce: ma non e' il tempo dell'amore, bensi' del potere, e il futuro Duce presto abbandona entrambi.
Questa prima parte, ben sorretta dalle interpretazioni della Mezzogiorno, mai cosi' brava, e dal metamorfico Timi, ci riconsegna un Duce privato e pubblico che e' passione, narcisismo e fiducia illimitata nel proprio grande divenire, mentre la Dalser non vede - se non nell'ammirazione - il politico, ma ama l'uomo: alla follia. Ma Ida e' troppo impetuosa, libera e "immarcabile", ovvero poco casalinga, perche' possa essere compagna per un uomo che mira alto, oltre i suoi abbracci: verra' rinchiusa dai fascisti, anzi dal Fascismo, nei manicomi di Pergine e San Clemente, separata dal figlio, con cui condividera' solo la morte: lei nell'ospedale psichiatrico di Pergine, lui a Mombello.
In questa seconda tranche, il presente filmico di Ida si intreccia al materiale d'archivio sul Duce, che dal '22 ricompare sullo schermo solo nei cinegiornali d'epoca che ne seguono l'impetuosa ascesa e i celebri discorsi, parodiati dal giovane Benito Albino di Timi.
Se nella prima parte - il primo inserto d'epoca, anche marca estetica, e' per il futurista Stramilano di Corrado D'Errico, 1929 - la fusione di "passato" e "presente" e' connotativa e ben calibrata, viceversa nella seconda la fusione di Storia e finzione scricchiola, ma e' ideologicamente importante: con il potere, Mussolini non e' piu' uomo privato, quello amato dalla Dalser, ma soggetto storico e pubblico, e oggetto di ossessione per la donna, la cui rappresentazione e' unicamente massmediale: il cinegiornale.
Se ideologicamente la scelta e' significativa, poeticamente e' irrisolta, perche' costringe a una freddezza stilistica e denotativa il controcampo privato, ovvero la reclusione della Dalser, che di fronte alla potenza espressiva dei discorsi di Mussolini pare farsi ancora piu' piccola delle intenzioni - quelle di una Davide contro Golia.
Non solo, il "passaggio d'epoca" taglia in due il film - magnificamente fotografato da Daniele Cipri' - anche emotivamente: l'amor fou degli inizi, che conquista lo spettatore, lascia spazio all'internamento che non e' solo di Ida, ma delle emozioni. Una volonta' di freddezza, che, pur cozzando con gli accenni melodrammatici di Vincere e tracimando con esiti negativi sull'equilibrio complessivo dell'opera, nondimeno catalizza le costanti del cinema di Bellocchio: l'autorita' paterna, la psicanalisi (i consigli dello psichiatra alla Dalser sono un vademecum, purtroppo, senza tempo) e l'ingabbiamento, se non la camicia di forza, della politica, che sulla scia de La balia continua  dividere un uomo dall'altro.
Interessante la decrittazione - vale anche per l'oggi - dei meccanismi di questo potere, dall'impiego dei mass media alla certificazione nella sala dei bottoni di quel che e' normale, leggi innocuo, e quel che e' folle, Ida Dalser, Vincere non e' un film completamente risolto, ma non per potenza stilistica e peso ideologico: e' il disequilibrio poetico che potrebbe allontanarlo dalla Palma.