Nei 91 minuti del Volo 93 United Airlines, decollato da Newark (New York) l'11 settembre del 2001 diretto a San Francisco e caduto (o abbattuto) in Pennsylvania, è successo tutto. A partire dal primo Boeing lanciato sulla Torre e a seconda delle "visioni" politiche, estetiche, militari, e dei significati mitici: l'inferno di cristallo, l'attacco del terrorismo al cuore d'America, la vendetta del Terzo Mondo, la caduta (la fragilità) dell'Impero d'Occidente, Icaro realizzato che distrugge se stesso, l'implosione di Babele. Il 93 era destinato alla Casa Bianca. Doveva completare l'opera. Ma il senso era già scritto nell'icona planetaria dell'uccello che colpisce il suo nido.
La ricostruzione del dirottamento e della ribellione dei passeggeri del 93 ai terroristi nella docu-fiction di Greengrass, dove "docu" è la scelta di fonti e testimonianze ufficiali e "fiction" è il corto circuito con il cinema catastrofico aeronautico, sceglie il punto di vista della torre di controllo dei voli degli Stati Uniti, a Boston. Questo punto di vista, dai quadranti di rilevamento diventa un generatore dirompente di domande e angosce, nel "gap" tra l'ordine e il disordine, il possibile e l'impossibile, la strategia del contenibile e il "meraviglioso" dell'incontenibile. Dai monitor che decifrano l'irregolarità dei voli alle questioni cruciali poste da cambi di rotta multipli, nel corso del tempo diventa chiaro il disegno dell'attacco come fenomeno di crisi dell'identità tecnologica di un mondo. E qui siamo a terra. In volo, invece, c'è il film dell'aereo più pazzo del mondo. La dimensione grottesca, con il terrorista urlante e impacciato che sfodera la bomba agganciata al petto, è la spia della "fiction" della seconda parte, dove ricostruire significa immaginare, intrecciando la registrazione delle telefonate dei passeggeri che chiamavano i familiari per un ultimo saluto. Soltanto la visione concettuale dello spettatore, fulmineamente, collega la finzione alla realtà mai-vista, tagliando fuori l'aggettivo "possibile", che tiene alta un'angustia quasi insopportabile in immagini in fondo già-viste (da Airport 75, a Con Air a Air Force One).
Questa morbosa cinematograficità del reale, già a partire dalla ripetizione eterna del veivolo che entra nella torre trasmessa dalla tv, è anche la morbosa eredità di Hollywood nella fantasia distruttiva dei terroristi islamici, culturalmente subordinati e colonizzati dall'Impero d'Occidente. Al punto che, già in questa fase della ricostruzione, nel primo film in assoluto sulla dinamica dell'11 settembre, se si riesce a staccarsi dalla turbolenza emotiva (Greengrass abusa del primo piano) si pensa alla scelta terroristica dei dirottamenti finalizzati al lancio missilistico come una singolare fusione di culture: il cinema catastrofico secondo Al Qaeda.
L'aereo cadde o fu abbattuto? All'uscita del film nessuno ricorderà agli spettatori che: 1) il buco che avrebbe lasciato l'apparecchio, fotografato nel prato in Pennsylvania, segnala un'apertura alare la metà del Boeing 747, anche considerando l'angolo dell'impatto; 2) un reporter che raggiunse il punto d'impatto in circa sette, otto minuti, trovò uno schieramento della Cia già organizzato a isolare l'area; 3) il fumo dalla zona di scoppio durò alcuni minuti, mentre è provato che un aereo di quel genere brucia per ore; 4) intorno furono trovati pochi reperti, mentre è noto che si spargono migliaia di pezzi nel raggio di un chilometro.
Ma il punto non è se l'aereo cadde per il gesto eroico dei passeggeri o se fu abbattuto per evitare che colpisse la Casa Bianca. Il punto è quella buca. Secondo alcuni osservatori non vi è alcuna ragionevolezza nel sostenere che è il luogo d'impatto del 93. Dunque fu abbattuto in volo. Ma allora: perchè qualcuno aveva preparato quella buca, cioè aveva simulato la caduta di un aereo? E se qualcuno ha organizzato quella caduta, che cosa dobbiamo pensare degli altri attacchi? Il film di Greengrass non pensa.