Nella lingua araba esistono più di cento parole per descrivere i vari stati dell’amore, ci dice una docente durante una lezione di letteratura. In Una storia d’amore e di desiderio, Leyla Bouzid sembra volersi impossessare di ognuno di questi termini. Perché, più di ogni altra cosa, il suo film racconta un percorso di conquista, la storia di un’appropriazione: di una cultura, di una città, di un corpo, di un sentimento.

L’epicentro è incarnato dal diciottenne Ahmed, francese di origine algerina, cresciuto in una banlieue e sconvolto dall’incontro con la tunisina Farah, una collega d’università appena arrivata a Parigi. Sconvolto, appunto: la scoperta dell’amore in età adolescenziale si configura nei termini di uno shock che coinvolge il corpo, l’anima, il cuore. Ma si può resistere a questo assedio?

Ahmed è accerchiato. Lo capiamo subito, dalle prime immagini nell’aula al primo, vero contatto in autobus: intrappolato in un gioco di specchi incrociati, dribblando tra i pali con l’intenzione di farsi vedere ma sperando di non essere riconosciuto, il ragazzo viene catturato dall’oggetto amoroso che da subito si pone nella dialettica in quanto soggetto, avvinta dalla macchina da presa della regista con l’erotismo dovuto alle icone.

C’è la consapevolezza del lessico amoroso di Èric Rohmer, nel secondo film della trentasettenne Bouzid. E Una storia d’amore e di desiderio mette in campo le tribolazioni di Ahmed contro la pacificazione di Farah. Provengono da un contesto affine, eppure l’uno è fermo alle domande e l’altra si è già data risposte. Bouzid scandaglia l’intimità misteriosa e impenetrabile di un giovane che non ha ricevuto gli strumenti per padroneggiare il trauma sentimentale dunque sessuale.

Simbolo di una mascolinità fragile e non tossica, Ahmed coltiva la riservatezza come un culto, forse l’unica vera eredità trasmessagli dalla famiglia, in primis il padre restio, forse inadeguato, a educarlo alla scoperta della sessualità così come è espressa dalla cultura araba.

Quando parliamo di appropriazione ci riferiamo proprio a questo: lo studio della letteratura araba costituisce per il protagonista l’occasione di avviare una ricerca identitaria nella quale collimano il riconoscimento all’interno di un sistema culturale e la possibilità di emanciparsi dal ruolo che gli altri hanno deciso per lui.

È in questo senso struggente l’interrogazione – nei fatti un monologo – sostenuta da Ahmed sulla poesia araba: “Si perde il conto dei poeti morti per un cuore spezzato – dice fissando un vuoto in realtà occupato dalla paziente Farah – e qual è il loro unico ostacolo? Loro stessi. L’amore puro può essere consumato?”.

Riflessione sul tradurre come tradire e tramandare, Una storia d’amore e di desiderio segue Ahmed nella ricerca di un nuovo schema per accogliere i propri sentimenti, e lo fa anche mettendo in scena la conquista di una città che di notte rivela la sua dimensione più sensuale. E così questo film coltissimo cammina accanto ai suoi eroi e si fa fisico, tangibile, tattile, senza rinunciare alla suggestione onirica di un sax che riecheggia in un vicolo. Con due interpreti, Sami Outbali e Zbeida Belhajmor, folgoranti.