Mettete due titoli, uno cinese, Diqiu zuihou de yewan, ovvero Last Evenings on Earth, che è tratto da una novella di Roberto Bolaño, e l’altro internazionale, Long Day’s Journey Into Night, che è il nome di una pièce di Eugene O’Neill.

Mettete una poetica, e uno stile, che introietta Wong Kar-wai, Diao Yinan (The Wild Goose Lake), David Lynch (Mulholland Drive), Alfred Hitchcock (Vertigo), Andrei Tarkovskij (Stalker), nonché, rivendica il regista, La fiamma del peccato, Chagall e Modiano.

Mettete un film che sono due, una prima parte che è deleuziana immagine-tempo e l’altra, un lussureggiante e “antico” e “vero” lungo pianosequenza in 3D, che è immagine-movimento.

Mettete due attori, lui Huang Jue assomiglia a Tony Leung, lei Tang Wei alla Bellezza, che possono molto.

Mettete, infine, un regista che è nato nel 1989 e dopo l’esordio Kaili Blues nel 2015 – a 26 anni! – licenzia un’opera seconda (Un Certain Regard a Cannes 2018), da noi dal 30 luglio in sala con Movies Inspired e il titolo Un lungo viaggio nella notte, che è magnificente, assertiva, colta e spudorata insieme: si chiama Bi Gan, ed è una promessa già mantenuta.

Nelle traiettorie, poi dirottate per non dare punti di riferimento e quindi rettificate con manifesta idiosincrasia, del noir, Bi Gan anche sceneggiatore tallona Luo Hongwu (Huang Jue) che torna nell’avita Kaili, nella provincia subtropicale di Guizhou, da cui era fuggito diversi anni prima: si mette alla ricerca della misteriosa Wan Quiwen (Wan Quiwen), amata e mai dimenticata…

Ecco, la storia non è risolutiva, quel che importa è il racconto, che si prende la libertà di eludere spiegazioni e didascalie e affrancarsi dal compitino: la sinestesia impera, la sineddoche ci prende per gli occhi, i raccordi sono di senso, di immagine e immaginario insieme, la stanze sono acquitrini, la poetica liquida, il flusso di coscienza pure.

Tutto scorre, mentre il film totale predispone la propria venuta: che cos’è la memoria? Che cos’è il cinema? Bi Gan ci, e si, risponde, tracciando la discrasia: “La differenza tra film e memoria ... è che i film sono sempre falsi, ma i ricordi mescolano verità e bugie mentre appaiono e svaniscono davanti ai nostri occhi”. La cosa più interessante, anche sotto il profilo scientifico, è che Bi Gan non fa della memoria materia temporale, bensì spaziale, aggiungendo ad hoc la terza dimensione: siamo quello che muoviamo, noi stessi e gli altri e i sentimenti, ed è questa realtà aumentata sì confusa ma vieppiù libera, sempre sovrana, il nostro ubi consistam, per quanto smarrito, umido e buio possa essere.

Non è forse fare memoria rifare al karaoke una canzone che già cantammo? E non è questo karaoke che canta per un’ultima notte prima di essere abbattuto all’alba la scatola nera più metaforica possibile?

Manierato? Forse. Ambizioso? Certo. Consapevole? Assai. Non è il cinema che ci piace? Eccome, se lo è. Sarebbe sbagliato fare di regista popolo, di film cinema, ma ce ne freghiamo: oggi, e non da oggi, il cinema cinese ci mangia in testa, e negli occhi. Noi tapini.

Quanta bellezza, e quale affronto questo Un lungo viaggio nella notte: non perdetelo.