A Sokcho la venticinquenne Soo-ha, studentessa di letteratura e domestica alla pensione Blue House vive una routine abbastanza soddisfacente. Non è il lavoro che sognava ma il fidanzato Jun-Oh, vuole traferirsi a Seul per intraprendere la carriera di modello. L’arrivo di Yan Kerrand, noto illustratore francese in cerca di un alloggio e di ispirazione, incrina la quotidianità della giovane Soo-ha.

I due instaurano un rapporto fatto di gesti minimi e scambi essenziali. Un inverno in Corea, in sala dall’11 dicembre, è tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice franco-svizzera, con madre sudcoreana, Elisa Shua Dusapin, dal quale riprende il fulcro dell’incontro di due culture e civiltà, francese e coreana, occidentale e orientale, e riflette l’esperienza della scrittrice come quella del regista Koya Kamura.

Soo-ha incomincia a frequentare Yan, illustratore di graphic novel alla ricerca di ispirazione, per lei invece l’incontro assume un significato più profondo: è figlia di un padre francese mai conosciuto, con cui sua madre ebbe una breve relazione (di cui solo scoprirà la verità). La ragazza è attratta sempre di più da Yan, curioso e sfuggente, affascinante e misterioso (impossibile resistere a Roschdy Zem), che sappiamo le spezzerà il cuore (partirà prima della primavera).

Mentre contemporaneamente il fidanzato perde ogni attrattiva, al punto che Soo-ha decide di lasciarlo. Oltre a mostrargli la città, prepara alcuni piatti della cucina coreana e francese, ma Yan le dice chiaramente che non ha spazio per lei, è solo un turista che presto se ne andrà.

Soo-ha non si scoraggia, anzi riscopre il suo viso, il suo corpo. Il suo mondo interiore è fatto di sogni animati (i disegni sono di Agnès Patron), delicati, originali. Finché il tempo, implacabile come Yan, darà una risposta. Un esordio alla regia, quello di Koya Kamura, curatissimo, la storia non è certo nuova, il paesaggio quasi didascalico ma gli attori sono bravi (anche Bella Kim) e lo sguardo sul coming of age è promettente.