Dopo il successo dell’opera prima The Father, Oscar a Anthony Hopkins e alla sceneggiatura non originale nel 2021, il francese Florian Zeller firma il secondo capitolo di un’intesa trilogia familiare con The Son, in Concorso alla 79. Mostra di Venezia.
Nel cast Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen McGrath, Hugh Quarshie e di nuovo Hopkins, inquadra nella New York qui e ora il diciassettenne problematico Nicholas (McGrath): non accettando la separazione dei genitori, si consegna a un presente amaro, difficile da vivere e anche da sopravvivere, stemperato solo dai ricordi felici d’infanzia.
Confidando di migliorare la situazione, lascia casa della madre (Dern) per quella del padre Peter (Jackman), che ha appena avuto un figlio dalla nuova compagna (Kirby), ma le cose non andranno come sperato.Non che Peter, peraltro in lizza per un incarico elettorale a Washington, non ci provi a prendersi cura di Nicholas, ma lo stato del ragazzo è ormai di interesse clinico: a scuola non ci va, non ha amici, si taglia e… che fare?Non aiuta i genitori la nostalgia, di lei, per quel che è stato, non aiuta Peter il rapporto conflittuale con un padre assente (Hopkins) che non vorrebbe replicare (psicologia un tanto al chilo…), nondimeno anziché di loro e Nicholas dovremmo, dobbiamo preoccuparci di noi spettatori: The Son è pornografia del disagio psichico, roba da far impallidire una ciofeca come A Beatiful Boy (2018, regia di Felix van Groeningen), scodellata in una trama di tranelli scoperti, MacGuffin for dummies e, pervasivo, sentimentalismo ricattatorio.
Jackman non è affatto male, Dern normale, Kirby sprecata e McGrath boh, ma il problema non sta negli attori, bensì nel canovaccio geometricamente isterico di Zeller, che dispone emozioni come tessere di un domino moralmente discutibile. Di più, efferato. Chi sa che non sia, questo sadico meccano, il prezzo del successo.