Rivelazione della Settimana della Critica a Venezia 2017 con Les garçons sauvages, che l’anno dopo è finito al primo posto della top ten dei Cahiers du Cinéma, Bertrand Mandico sguazza nel ruolo di nuovo enfant terrible del cinema d’autore con la consapevolezza di esserne anche una delle più importanti voci emergenti. E con i ventiquattro minuti di The Return of Tragedy – passato prima in Orizzonti all’ultima Biennale e ora al XVIII Ravenna Nightmare Film Fest – offre un saggio del suo estro incandescente.

Sfacciatamente citazionista e spudoratamente respingente, Mandico – che al successo nei circuiti dei festival è arrivato dopo una ventennale carriera tra corti, spot e videoclip – gioca con il vasto apparato delle sue folgorazioni cinefile, miscelando suggestioni provenienti dagli ambiti più disparati, nella forma visiva di un reperto vintage, sofisticato e ruspante al contempo, aggiornandolo ai filtri con cui si manipolano le immagini sui social e manipolandone il formato.

 

Tutto è estremamente ponderato in questa apoteosi del bizzarro, ed è quasi superfluo ricostruire lo sviluppo di una trama che è in realtà un accidente per sperimentare ipotesi narrative. Da questo punto di vista c’è molta ricchezza – e l’obiezione che sia troppa non mette in conto il dato che un film così deve lavorare con l’eccesso – e in poco tempo c’è il tempo di affrontare punti di vista alternativi (sette, come i capitoli che compongono la storia): la verità è chiaramente inaccessibile e l’unico che può capire la realtà è solo chi ne afferra il surreale.

Visionario e orgiastico, interessante anche quando è più flebile l’impatto dello stupore, The Return of Tragedy segue l’irruzione di due poliziotti in un giardino, dove un guru che di cognome fa Katebush sta guidando una specie di rituale: lo sventramento di una donna per far sprigionare la sua bellezza interiore, che si rivela come un macabro viscere galleggiante. Nasi equivoci e artiginali interiora, stilizzazioni erotiche ed esagerazioni oniriche: videoarte da festival, sì, ma lo sperimentalismo non è sterile, il trash divampa, l’approccio intellettuale ribolle. Può irritare, e tanto; ma è già qualcosa.