Ispirato a una storia vera, è la cosa che colpisce di più, un dato inquietante da tenere a mente per l’intera durata del film di Dan Krauss. War movie, ma neanche troppo, thriller, senza eccedere mai, e romanzo di formazione distorto. Tante identità per The Kill Team, purtroppo non abbastanza coagulate in un solo, potente, racconto.

Risulta invece, da questo mix, un paradosso: la poliedricità del film è un suo punto debole. Non che la storia confezionata con rigore non sia godibile, anzi. Ma disperde parte del suo dinamismo nel cercare (un poco a vuoto) tempi e volti.

Un sogno, la partenza per il fronte: è il prologo per una squadra di ragazzi, almeno inizialmente, “annullati” dai ranghi dell’esercito. Basta un incidente e un cambio di Sergente, però, a cambiare tutto. Skarsgard, nei panni dell’ambivalente (e inquietante) Deeks, diventa faro non soltanto diegetico ma extradiegetico di tutta la pellicola. Lui, da villain, è il polo attorno cui ruota la vicenda.

E lui, bisogna dirlo, funziona. Rende anche la vita più facile a tutti i comprimari. Rimane più compresso il più ostico ruolo di “Brigsey”, Andrew Briggman, il protagonista interpretato da Nat Wolff. Il suo tormento morale è evidente sin da subito, ma non si evolve né quanto potrebbe né come dovrebbe.

Interviene una brusca cesura a chiudere il film, che non costituirebbe un difetto di per sé se non si avesse la sensazione di scelta obbligata. Certo, nonostante i difetti, la realtà resta sempre uno strumento potente, anche abbondantemente filtrata. E neanche un film imperfetto riesce a farcelo dimenticare.