Nel 1961, Kempton Bunton (Jim Broadbent) ruba il ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya dalla National Gallery di Londra. Nella richiesta di riscatto il sessantenne tassista e Robin Hood di Newcastle affermò che avrebbe restituito il dipinto, appena acquistato all’asta dal Regno Unito per 140mila sterline, a condizione che il governo si impegnasse a favore degli anziani, in particolare garantendo a reduci e pensionati il diritto alla televisione gratuita, una sua vecchia battaglia.

La storia è vera, a darne un resoconto cinematografico è Roger Michell, regista sudafricano d’origine e inglese per domicilio professionale, celebre sopra tutto per Notting Hill (1999). Dalla sua la sceneggiatura di ferro e ironia - le battute si sprecano - di Richard Bean e Clive Coleman, e un cast davvero formidabile: oltre a Broadbent, strepitoso e spassoso, Helen Mirren, cui tocca un perfetto contrappunto nei panni della moglie di Kempton Dorothy, nonché Fionn Whitehead, Matthew Goode, Anna Maxwell Martin.

The Duke passa fuori concorso a Venezia 77, e ne risentiremo parlare nell’award season, a partire da Brodabent.

Per Michell “nella grande tradizione delle Ealing Comedies (le commedie brillanti a voltaggio satirico e sociale girate agli Ealing Studios londinesi a ridosso della seconda guerra mondiale, NdR), mostra un uomo semplice che parla apertamente ai potenti”.

Il registro è lieve, lo sguardo scanzonato, il mood canzonatorio, eppure The Duke mette in fila temi pesanti e pensanti, dalla discriminazione razziale al lutto familiare, dalla sperequazione sociale al bene comune, dalla tutela dei più deboli, quagli gli anziani, alla criminalità giovanile, senza elogiare il populismo bensì la collettività.

Un film riconciliante, che mette alla sbarra – l’epilogo in corte è superlativo - buonumore e diffonde filantropia e umanesimo: mantiene quel che promette, e pure qualcosa in più, complici i tempi comici di Broadbent e Mirren, la cura nelle scenografie e i costumi, una regia che utilizza lo splitscreen come i mattoni di Bunton, nel senso dell'unione fa la forza. E l'umanità.