Dopo American Dharma di Errol Morris, arriva in sala un secondo efficace documentario su Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump e del Partito Repubblicano durante la campagna elettorale e nell’insediamento alla Casa Bianca.

Il ritratto della giovane regista Alison Klayman volge lo sguardo, senza mai distoglierlo, ai momenti più sinceri e privati della giornata del protagonista, dopo le dimissioni dallo staff presidenziale: un pasto obbligatoriamente a base di verdognoli frullati dietetici o l’arrivo della crew in hotel rigorosamente a cinque stelle.

Conferenze, cene e incontri vengono dopo, ma sembrano diretta emanazione di quel privato.

Bannon si confida con la telecamera, si ritiene strumento della provvidenza. Eppure, non sembra più di un uomo come tanti, anzi, come tantissimi, con i suoi fantasmi e le sue manie, le simpatie e le idiosincrasie.

Indossa sempre due camicie una sopra l’altra e porta con sé un libro di Lincoln, da una citazione del quale il titolo, evocativo, “The brink”: l’orlo di un abisso i cui si rischia di sprofondare.

L’umanizzazione, infatti, non si traduce necessariamente in empatia tout court. A tal proposito, interviene l’altro e più oscuro lato della medaglia: il programma politico.

Steve Bannon intende formare una grande alleanza europea di tutte le destre populiste del continente, in vista delle elezioni UE del prossimo maggio. Una visione che coinvolge, peraltro in un frammento chiave, la Presidente del partito italiano Fratelli d’Italia (in lingua originale, “Brothers of Italy”), Giorgia Meloni.

L’obiettivo getta un’ombra concreta e inquietante, proprio perché proiettata da figure umane. La regista, di opposta estrazione politica, mantiene però il sangue freddo necessario a inquadrare il tutto, legittimamente, con occhio severo ma neutrale.

Il risultato, complici anche le sorprendenti elezioni USA di medio termine, in favore del Partito Democratico, è un conflitto degno dei migliori drama. Solo che questo è un conflitto reale.