Sameh Zoabi, sceneggiatore e regista palestinese, già nei sui film precedenti, premiati in molti festival dal Sundance a Locarno, aveva cercato una chiave per raccontare il conflitto interno legato alla difficile condivisione dei territori con Israele.

Un problema di culture e politiche che si riflette inevitabilmente sulla vita di tutti i giorni. Trovare un modo per raccontare tutto questo non sempre è facile perché si può essere fraintesi e, confessa lo stesso regista, accusati di fare film “eccessivamente palestinesi o inadeguatamente israeliani”.

Tel Aviv on Fire evita entrambe le trappole affidandosi ai toni del grottesco e alla leggerezza di una comicità parimenti intrisa di umorismo palestinese ed ebraico. La vicenda, quella di un aspirante sceneggiatore di una soap prodotta a Ramallah, ben si presta allo humour corrosivo che colpisce le caratteristiche entrambe le tradizioni. Salam, il protagonista, dovendo dar vita a un ebreo si fa aiutare da Assi, il capitano israeliano del posto di blocco che è costretto a passare ogni giorno.

Tra vivaci scambi di idee e humus condivisi, tra i due i punti di contatto si mostrano sempre più evidenti, anche quando litigano per quale piega far prendere alla soap. Fino al colpo di scena finale, che fa letteralmente saltare ogni barriera. E' in questo senso particolarmente interessante che una parte dell’ambientazione sia proprio un posto di blocco, frontiera fisica culturale e mentale. Corrispettivo reale delle differenze che la soap fa rivivere sul set. La vita è un film, il finale è nelle mani degli uomini.