Squallido. Osceno. Disgustoso. Vecchio. Cattivo. Barbarico. Nauseante. Deplorevole. Sono queste le parole che vengono in mente a Yoav quando pensa ad Israele. Tanti sinonimi per descrivere una cosa sola: il suo sentimento di patria.

"Così tante cose brutte allo stesso tempo non si possono dire di nessun paese", dice l’amico Emile mentre i due fissano la Senna da un ponte. Yoav a un certo punto non ce l’ha fatta più. Il giovane israeliano, fresco di servizio militare, ha afferrato le sue ultime cose e lasciato il suo paese, la sua identità, la sua lingua alle spalle. Non conosce nessuno a Parigi.

L'appartamento in cui dovrebbe abitare all’inizio, lo trova vuoto e freddo. Mentre si riscalda sotto la doccia, anche i suoi ultimi vestiti vengono rubati. Nudo, trema nel corridoio: la prima notte nella sua nuova vita. Ha immaginato Parigi in modo diverso.

Il regista israeliano Nadav Lapid aveva già attirato l'attenzione con i suoi film Policeman (2011) e I Have a Poem (2014), che ha appena finito di rigirare per il mercato statunitense. Con il suo quarto lungometraggio, Synonymes, dopo cinque anni di pausa non c’è più dubbio che il cinema mondiale abbia trovato in lui una nuova voce.

La storia è basata sulle esperienze autobiografiche di Lapid, partito per la Francia dopo il servizio militare in Israele. Con la sua fuga Lapid ha voluto strappare le sue radici, distruggere la dottrina israeliana dell'invulnerabilità inculcata dall'esercito.

Tre nomi lo hanno attirato in Francia: Napoleone Bonaparte, Zinédine Zidane e Jean-Luc Godard. E non c’è dubbio che ci sono fonti di ispirazione, o muse, sicuramente più noiose per un regista.

La muscolosa poesia sul campo del campione Zidane e l' energia estemporanea di Godard hanno lasciato tracce visibili in Synonymes. Yoav (l’eccellente Tom Mercier) usa un metodo radicale per strappare da sé la sua origine: rifiuta di parlare in ebraico.

Un dizionario francese è il suo compagno inseparabile, per imparare ossessivamente il francese, ripetendo centinaia di sinonimi. Mentre gira la città Lapid lo cattura con una macchina da presa portatile nelle cui immagini tremolanti pulsa la frenetica instabilità del protagonista.

Vivere e morire a Parigi. Solitudine, aggressività, ricordi traumatici, desiderio di un nuovo inizio. I sentimenti contraddittori fluiscono attraverso Yoav, nelle immagini. E Lapid non tenta nemmeno di incanalarli. Si tratta sempre di fluire e di salti, una coreografia sottile di movimenti impulsivi.

Tre personaggi diventano i compagni di Yoav nel suo nuovo mondo: Caroline ed Emile (Louise Chevillotte, Quentin Dolmaire), ad esempio, una giovane coppia sofisticatamente borghese (i dialoghi a tre nell’elegante appartamento parigino sono Bertolucci).

"La noia struttura la mia vita", dice l'aspirante scrittore Emile proprio all'inizio della sua strana amicizia asimmetrica (perché non scevra di desiderio) con Yoav. E il collega dell'ambasciata israeliana, dove Yoav trova lavoro per un breve periodo, che affronta i passanti in strada o in metropolitana urlandogli in faccia di essere ebreo per provocare e dunque prevenire reazioni antisemite.

Tom Mercier è stata la vera scoperta dell’ultimo Festival di Berlino, dove Synonymes è stato presentato in concorso. Riempie plasticamente tutto lo spazio che Lapid crea per lui con la camera. Il suo bel volto e corpo hanno una grazia incontrollabile. Troverà la sua pace nelle strade di Parigi? Sicuramente non al corso di integrazione civica: la patria è un peso, l'identità è solo una puntura nella carne.