Piove a Roma, diluvia biblico. Sette giorni, e poi l’Apocalisse: siamo tra 5 e 12 novembre 2011, si dimetterà Papa Ratzinger o Berlusconi? Si parte con il Papa, si finisce a Montecitorio, solo la pioggia rimane la stessa. E la Suburra, dove potere e criminalità si incontravano oltre duemila anni fa. E ora, e ancora.

Dal libro di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, qui sceneggiatori con Rulli & Petraglia, è Suburra, regia di Stefano Sollima, in carnet le serie di Romanzo criminale e Gomorra, nonché il film ACAB. Nelle nostre sale e in streaming globale (o quasi) con Netflix, il fuoricampo è di Mafia Capitale, e le dimissioni diventano tre: le ultime di Marino, solo ieri.

Roma, Vaticano e Ostia, ovvero Roma una e trina: sul litorale si vuole speculare, ristorantihotelcasinò sul modello Las Vegas, e la torta da spartire tra malavita locale, Numero 8 (Alessandro Borghi, il migliore), zingari, Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi), e l’ultimo della Banda della Magliana, Samurai (Claudio Amendola, bravo), che rappresenta le famiglie del Sud, e riecheggia Carminati... Chi manca? Chi possa legiferare il progetto Waterfront, ovvero il deputato Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino, ruolo difficile, esiti medi): crack, sesso a tre prezzolato, e una minorenne che ci lascia la pelle. Malgradi è a bordo, ma quanti l’hanno in pugno, quanti vogliono un pezzo della torta?

Sollima, bontà sua, crede fermamente nel genere, nel gangster movie: finora, ha sbagliato solo ACAB, e difatti lì c’erano i celerini. Per levarsi il problema, in Suburra le forze dell’ordine non ci sono: polizia, carabinieri, nulla. Scherzi a parte, l’assenza delle “guardie”, ovviamente non imputabile a Sollima, si fa sentire assai: Samurai non ha un antagonista (il colonnello Malatesta del libro), e il film non guadagna un collage di prospettive criminali, piuttosto perde oltre al controcanto “morale” una ineludibile parte del tutto, che sia oppositiva o contigua o congruente vai a sapere. Roma dimezzata oppure Roma criminale e basta perché così è? Diremmo la prima.

Ed ecco il giudizio: la regia di Sollima e le prove degli interpreti sono superiori alla sceneggiatura, ovvero al lavoro di Rulli & Petraglia (Bonini e De Cataldo, par di capire, hanno subito). Sollima, che gli americani – siamo certi - ci ruberanno presto, non solo aderisce attivamente al genere, ma lo nobilita: la villa che si accende fluo, la fuga in suv (da dimenticare, al contrario, l’incidente automobilistico iniziale: gli effetti italiani non sono speciali, rassegniamoci), la sparatoria al centro commerciale e il close-up su occhio ceruleo e sangue, di chicche ne mette tante, sa girare come pochi, e senza, appunto, birignao autoriali.

Poi, gli interpreti. Di Borghi e il ritrovato Amendola abbiamo detto, ma aggettano bene dallo sfondo malavitoso anche i personaggi minori: non tanto la escort Sabrina (Giulia Elettra Gorietti) e la tossica Viola (Greta Scarano, bravina), quanto il Manfredi di Dionisi, brutto, sporco e cattivo come da copione e cronache, si direbbe, sui Casamonica. Brilla poco, viceversa, Elio Germano, nel ruolo di un PR intrallazzone nel mondo di mezzo: lo vestono male, gli danno un’identità, anche sessuale, incerta e sbiadita, laddove uno come lui meriterebbe di più.

Torniamo alla sceneggiatura. Al di là della fedeltà intermittente al libro, colpiscono negativamente alcuni dialoghi sballati, pleonasmi coatti (Malgradi che piscia sul balcone vista San Pietro) e facilitazioni indebite (Malgradi che fa i nomi alla escort): sia per architettura complessiva che per design interno, si poteva far meglio, eccome.

Ne viene, accanto all’ammirazione per un progetto glocal di respiro comunale e appeal internazionale (Urbi et Orbi), il rimpianto per un’occasione parzialmente persa: se tutto è Suburra, se tutto è mondo di mezzo, cos’è Suburra, cos’è il mondo di mezzo? Ovvero, genere e realtà possono convivere euristicamente e felicemente o per esaltare il primo va rimaneggiata la seconda? Appendice criminale.