Sole, esordio alla regia di Carlo Sironi, è un buon film, con tre soli problemi: ha troppi finali; è ambientato nella periferia romana che del cinema italiano è il centro; l’abbiamo già visto, fatto dai Dardenne, quando Luc e Jean-Pierre erano ancora i Dardenne.

In cartellone agli Orizzonti di Venezia 76 dopo contesa inter-festivaliera, Sole illumina un talento, quello di Sironi, natali a Roma, classe 1983, in carnet i corti Sofia, Cargo e Valparaiso: ha misura, sottrae per davvero, e sa raccontare con quel che si vede e non quel che si dice, dalle nostre parti un’eccezione.

Poi, dirige bene gli attori, ovvero la polacca Sandra Drzymalska, crasi di Greta Thunberg e Christina Ricci nel ruolo di Lena, e Claudio Segaluscio, ovvero il rigazzetto Ermanno, tutto silenzi, tuta, slot e furtarelli, con le spalle larghe e un’aria da Nosferatu esangue. Lei arriva col pancione in Italia, pronta a lasciare a una coppia italiana la nascitura, Sole appunto, in cambio di diecimila euro; lui deve custodirla in un appartamento sul litorale laziale, fingersi il padre e quindi lasciarla in affidamento allo zio e alla consorte, e per il disturbo avrà quattromila euro.

Li seguiamo, nella prigionia e nel reciproco avvicinamento e affrancamento, ne talloniamo non detti e sottintesi, e un po’ - più che un po’ - sappiamo come andrà a finire, ma la meta di Sironi è il viaggio, dunque capire, e farci capire, che cosa sia la maternità, la paternità, quella culturale in primis.

C’è uno sguardo, ci sono i sentimenti, il Sole è dell’avvenire.