Una città, Roma, e due donne: Eli, orfana, quattro figli, un marito disoccupato e due ore per andare e due per venire sette giorni su sette dal posto di lavoro, un bar; Vale, danzatrice e performer, un rapporto difficile con la madre, un’attrazione per la partner di ballo che salva, o forse no, da un compagno violento. E la loro amicizia, una sorellanza, che non ha tempo, ma empatia, sostegno e comprensione: sono Eli, interpretata alla grande da Isabella Ragonese, e Vale, Eva Grieco, le protagoniste del viaggio di Daniele Vicari in una nuova vita agra, quella di chi lavorando o non lavorando comunque non ce la fa più a vivere. E, forse, nemmeno a sopravvivere. Glielo dice la figlia più grande a Eli, “se diventare donna significa fare la vita che fai te meglio morire”, o giù di lì, e la madre può solo arrabbiarsi, sgridarla, ma non darle torto: che fare?

Un film, scritto e diretto da Vicari, che ruba il titolo alla canzone che diede fugace notorietà a Valeria Rossi, Tre Parole, ovvero Sole Cuore Amore: se la prima e la terza non mancano a Eli – il marito affettuoso e premuroso Mario è ben interpretato da Francesco Montanari – la seconda è un problema, che il lavoro massacrante, già causa, non le permette nemmeno di curare.

Non è un film perfetto, ma necessario, persino urgente. E’ una guerra là fuori, senza nemici eccetto l’ineluttabilità, e solo i sentimenti possono fare resistenza: Vale e Mario si amano, amano i propri bambini, e non si perdono nelle difficoltà. Sono loro il cuore pulsante del film, quello in cui stanno le cose migliori, seguiti dal bar dove Eli lavora.

Funzionano anche due dei contrappunti formali alla muta e non piagnona disperazione di Eli, ovvero la fotografia curatissima dell’abituale Gherardo Gossi e la colonna sonora jazz di Stefano di Battista, ma non il principale messo in atto da Vicari: le coreografie della stessa Eva Grieco, inteso ma sterile controcanto plastico e figurativo della via crucis laica di Eli.

Eppure, Sole Cuore Amore rimane negli occhi: c’è un po’ della fatica di tutti noi, dovrebbe esserci anche la nostra solidarietà. Perché questi ultimi, questa maggioranza silenziata, possano avere voce: oltre il grande schermo, a partire dalla politica.