Il fantasy si fa crepuscolare. Non è più tempo per paladini dal lungo mantello e l’armatura scintillante. Anche il mondo delle “favole” non è più lo stesso. Le atmosfere sono cupe, rarefatte, l’apocalisse incombe. Non splende mai il sole, gli eroi non sembrano saldi, ma improvvisati. Sir Gaiwan e il Cavaliere Verde è tratto da un antico manoscritto inglese, che espande l’universo di re Artù. Racconta la storia di Galvano, membro della Tavola Rotonda, nipote del mitico padrone di Excalibur. Il giorno di Natale arriva a corte una creatura misteriosa. Invita uno dei presenti a colpirlo, per poi infliggergli la stessa ferita un anno dopo, in un luogo misterioso. Si fa avanti Galvano, che gli taglia la testa. Tutti applaudono, è l’inizio di un lungo viaggio, che procede per ellissi, e a tratti sconfina anche in sequenze oniriche.

Il regista David Lowey ragiona sul significato della leggenda, sulla mancanza di grandi imprese, sul bisogno di lasciare il segno. Il suo cinema si riflette spesso sulle ombre, è permeato da una malinconia costante, da un profondo senso di abbandono. Anche Il drago invisibile, all’apparenza dedicato ai più piccoli, era forse più affine a un pubblico adulto, pur mantenendo un’anima spielberghiana. Storia di un fantasma era l’elaborazione di un lutto, la perdita dell’amore, della vita, la difficoltà di trovare la pace anche nell’aldilà. Infine The Old Man & The Gun aveva rappresentato il lungo addio a un divo come Robert Redford.

Di conseguenza anche il poema cavalleresco si fa oscuro, mostruoso. Lo si potrebbe interpretare con risvolti cristologici, fondati sul porgere l’altra guancia. Lo scontro è tra innocenza e colpa, la violenza viene descritta come l’inevitabile conseguenza delle regole che governano l’universo. Il percorso di Gaiwan è di espiazione. Le prove che affronta lo piegano, scalfiscono il suo corpo, ma cambiano anche il suo modo di pensare. È molto lontano da re Artù e dalla sua Excalibur, sembrano venire da epoche diverse. Lowery distrugge il sogno, riempie l’avventura di disincanto, la trasforma in una vicenda di fantasmi, come se fossimo ancora a Ghost Story. Gaiwan stesso soffre nel trovare un proprio equilibro, sembra appartenere più al mondo degli spiriti che a quello reale. Per questo anche i colori cambiano repentinamente. Basta immergersi nell’acqua per far esplodere il rosso, per poi tornare al nero, al grigio.

 

Le visioni del protagonista modificano l’andare del tempo, sospendono il film in una dimensione irrisolta, in cui si è tutti prigionieri della maledizione. Gaiwan si contrappone al Cavaliere Verde. Ma chi è quest’ultimo? Forse il ricordo di un’epoca lontana, forse un demone, forse invece un santo. Lowery gioca bene sull’ambiguità, e delinea un eroe fragile, accecato dall’ambizione, imperfetto. Sir Gaiwan e il Cavaliere Verde resta fedele al suo genere di appartenenza, ma rallentando i ritmi, rendendolo più riflessivo. L’epica ha lasciato il passo alla consapevolezza. Non è una pietra tombale, non è un testamento: è il punto di arrivo di un processo di maturazione. Disponibile su Amazon Prime Video, con Dev Patel, Alicia Vikander e Joel Edgerton. Una piccola curiosità: nel 2004, in King Arthur con Clive Owen, Edgerton prestava il volto proprio a Gaiwan.