Afflitto dalla malattia della madre, da un padre inconsistente, una nonna autoritaria e un gruppo di bulli feroci, il giovane Conor ripara nel suo immaginario.

Un immaginario post-spielberghiano fondato sull’opposizione tra realtà anonima e mondo barocco dei sogni.

La camera di Conor è il punto d’incontro dei due universi: da una parte il quotidiano affollato di tribolazioni, dall’altra lo straordinario abitato da un albero affabulatore che cura il rimosso con racconti scapigliati.

Strane storie in cui i cattivi non sono quello che sembrano e la morale non è mai dove l’attendiamo. Quelle storie fanno eco ai sentimenti contraddittori di Conor per i suoi cari e per la situazione drammatica con cui si confronta al risveglio.

Dopo aver evocato le paure dell’infanzia in The Orphanage, il film che lo ha rivelato sulla scena internazionale, e dopo la ricostruzione dello tsunami in The Impossible, J. A. Bayona adatta il romanzo di Patrick Ness, aderisce alla bellezza sepolcrale del cinema neo-gotico di Del Toro e riallaccia le fila della sua ispirazione. L’orrore al cuore dei suoi film è l’angoscia della separazione.

La paura più profondamente radicata dei suoi bambini è quella di perdere i propri genitori, cui replica lo sgomento del genitore di perdere i propri figli (The Orphanage).

Con 7 minuti dopo la mezzanotte, per la prima volta, non resta che accettare la perdita. Il trauma prende la forma dell’immaginazione, forza primitiva narratrice di verità.

Intermezzi animati che non si concludono con “la morale della storia” e informano con la loro ambivalenza il percorso di Conor tra mostri con la scorza e mostri di carne.

Accordato con la potenza evocativa dei racconti, dei miti e di tutte le storie archetipiche che esprimono verità dolorose, 7 minuti dopo la mezzanotte si rivela spazio mentale di un bambino in preda a una collera che non sa come gestire.

Ancora una volta l’autore spagnolo crea un universo coerente che dietro al genere (horror, melodramma, racconto chimerico) rivela una tragedia familiare ordinaria. Un eroe o un’eroina resilienti, prigionieri del bambino che non possono continuare ad essere.

Film dopo film, Bayona mette quel bambino in faccia al prodigioso: fantasmi, tsunami, giganti. Infila il momento preciso in cui il mondo ordinario diventa straordinario e concilia la dimensione fantastica con quella intima, lo spettacolo col discorso umano.

Hollywoodiano nell’anima, gira con attori anglofoni per procurarsi mezzi finanziari all’altezza della sua ambizione e superare le frontiere. Come Amenábar prima di lui, declina la lingua di Cervantes e getta il cuore oltre l’oceano, inseguendo dentro le realizzazioni hollywoodiane i suoi fantasmi infantili.

Appoggiato sui disegni a inchiostro nero di Jim Kay, che illustrano magnificamente il romanzo iniziatico di Ness, il film è un racconto crudele ma mai pessimista destinato all’infanzia.

Tuttavia la voce tuonante di Liam Neeson e la saggezza ancestrale del suo albero rinforzano l’adesione del pubblico adulto.

Dalla vertigine apocalittica del sogno ricorrente di Conor alle storie selvagge che ‘mordono’ con un’animazione secca e astratta, dagli acquerelli al motion capture, che cattura la performance ‘gigante’ di Liam Neeson, 7 minuti dopo la mezzanotte accorda all’immaginario il centro della scena ma perde respiro nel verbo. Intimidita dal frangersi dalla materia ardente di cui sono fatti i sogni, la sceneggiatura non corrisponde le immagini, allungando le onde, esplicitando il caos, spiegando fino alla ridondanza.

Ma l’eccesso pedagogico è compensato da un cast in rilievo: Lewis MacDougall, che distilla con intelligenza il suo senso di colpa, Felicity Jones, madre in emergenza che prova a lasciare la presa, Sigourney Weaver nonna brusca che nasconde una resistenza fragile.

In un mélange di lacrime ed effetti speciali, di pudore e oltranzismo macabro, 7 minuti dopo la mezzanotte considera il bambino in tutta la sua complessità pescando la luce e le ombre nell’universo dei racconti, dove l’impossibile prende forma per insegnarci la vita.