Primo film (chissà se di una lunga serie) in solitaria per Aldo Baglio, che si stacca dai suoi compagni di sempre Giovanni e Giacomo per interpretare Michele, il protagonista di Scappo a casa diretto da Enrico Lando. Un uomo viziato ed egoista che indossa un orribile parrucchino sulla testa, una specie di “sorcio morto”, quando vuole conquistare una donna (insieme all’aiuto di qualche farmaco stimolatore).

Insomma lui è il classico italiano medio concentrato su se stesso, schiavo degli status symbol (si fa la ceretta sul petto e le lampade come se non ci fosse un domani), e soprattutto intollerante verso qualsiasi forma di diversità. In primis verso gli immigrati di colore che “infestano le città con la loro negritudine” e che “a differenza degli uomini bianchi non si possono sporcare perché sono già sporchi”.

È una comicità politicamente scorretta quella che mette in scena Aldo affiancato da Jacky Ido (il caso ha voluto che sempre un Giacomo lo accompagnasse) e da Fatou N’Dyane.

Ma ha il merito (e non è poco) di affrontare il tema del razzismo in maniera non pietistica, mettendo esattamente sullo stesso piano bianchi e neri, immigrati e italiani.

Lo stesso Michele, dopo aver trascorso una notte di sesso a Budapest ed essere stato derubato dei documenti e dei soldi, si troverà ad essere scambiato per un tunisino senza permesso di soggiorno e, nonostante la sua parlata da terrone del “sud sud sud Italia” non riuscirà a superare quel test di riconoscimento vocale che lo avrebbe potuto tirare fuori dai guai.

Strizzando l’occhio agli spaghetti western di Sergio Leone (la scena con Angela Finocchiaro è strepitosa) e alla comicità alla Checco Zalone, il film riesce nel suo intento: quello di far ridere e allo stesso tempo di far riflettere su un tema davvero attuale e in linea con l’aria che tira.

Un territorio già battuto recentemente anche da un altro grande comico nostrano: Antonio Albanese, che in Contromano (2018) interpretava un commerciante milanese di biancheria parecchio razzista. L’uomo decideva di riportare a casa sua (in Africa) un giovane africano che vendeva calzini a poche lire proprio davanti al suo negozio togliendogli clienti.

Quel film reggeva fino a quando sfoggiava una certa cattiveria poi purtroppo scivolava verso il buonismo e perdeva la sua forza iniziale. Qui invece il finale non è il solito happy end e non si perdono mai quelle battute un po’ ciniche e piene di luoghi comuni razzisti che però ti strappano una risata e che al tempo stesso possono arrivare a tutti, compresi a quegli italiani medi come Michele. Magari portandoli anche verso un cambiamento e un nuovo punto di vista sulla questione. D’altronde: “Solo gli imbecilli non cambiano idea”.