Katja Colja, la regista di Rosa, è coraggiosa. Lo è perché nella sua opera prima ha scelto non solo di affrontare il tema dell’elaborazione del lutto di un figlio. Ma ha deciso di legarvi anche quello ancora più audace della riscoperta della sessualità in età adulta.

Vero è che, nel non facile compito, una grande mano gliela dà la protagonista interpretata da una bravissima Lunetta Savino, capace, con il suo sguardo, i suoi silenzi e i suoi non detti, di dirci più di mille parole e di suscitare altrettante emozioni, nonché l’attore sloveno Boris Cavazza, che qui veste i panni del marito di Rosa.

La storia di Rosa è quella di una coppia di sessantenni che, dopo la morte della loro figlia più giovane, si sono allontanati, vivendo ognuno la propria sofferenza in solitudine. Lui è sloveno, lei è italiana: ognuno nel proprio angolo al riparo dall’altro.

Dal dolore individuale a quello condiviso, il percorso è lungo. E la regista, che è nata a Trieste e cresciuta al confine tra l’Italia e la Slovenia, ben conosce le barriere e i muri, per cui è abile nel raccontarci questa vicenda che è anche una storia di confini e della difficile arte di valicarli.

Con delicatezza e semplicità, questo film d’esordio riesce dunque a descriverci la rinascita di una donna (significativo quando sceglie finalmente di tagliarsi i capelli, anche se “poco, poco”) e ci porta, come i suoi protagonisti, ad oltrepassare molti dei nostri tabù verso territori ancora poco esplorati nel cinema.