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Il sogno americano continua, i valori familiari si riconfermano, l'allenamento e la passione per la boxe riprendono, ma il film non convince, le buone intenzioni non coinvolgono emotivamente in termini cinematografici. A parte gli ultimi 20 minuti dedicati al fatidico e immancabile match - durante il quale lo spettatore si risveglia, aggredito dal frenetico montaggio multiangolare -la sesta e ultima avventura di Rocky Balboa, scritta diretta e interpretata da Sylvester Stallone, non colpisce a segno. E per la saga di un campione di pugilato è un amaro controsenso. Sly torna nei panni del suo eroe più celebre e redditizio per collegare l'episodio conclusivo a quello iniziale del 1976. L'ex-campione ha quasi 60 anni, è imbolsito e depresso, e gestisce un ristorante dove i clienti ascoltano i suoi 'amarcord'. Nel tempo libero va a piangere sulla tomba dell'amata Adriana. Prova a riprendere un dialogo con il figlio, e inizia a frequentare una madre single.Un match virtuale in TV riaccende l'energia sportiva, che lo convincerà a sfidare - per beneficenza - un giovane campione afro-americano. E la dichiarata volontà di usare uno stile registico 'povero' e realistico ha generato un film noiosamente déja-vù, che non aggiunge nulla d'intrigante. Anche le rapide visioni in flashback (i momenti felici con Adriana) risultano prevedibili. La sequenza dell'allenamento, che almeno scorre con ritmo, offre le immagini care ai fans: i quarti di bue presi a pugni, le corse per Filadelfia, la salita sulla scalinata col celebre sottofondo musicale di Bill Conti.