“È tutto nella tua testa”. “Non è facile spegnerla”. Non è solo un batti e ribatti diegetico, tra la “badante” Maria (Adriana Barraza) e John Rambo (Sylvester Stallone), ma un’indicazione d’uso: dobbiamo spegnere la testa nel fruire il quinto film di Rambo, Last Blood, chiamato a terminare l’arco avviato nel 1982 da First Blood, adattamento dell’omonimo romanzo di David Morrell?

Sui titoli di coda, troviamo immagini di quello e dei seguenti, la nostalgia è canaglia, più del cartello – non droga, ma prostituzione – che John deve fronteggiare: gli violentano, drogano e avviano al bordello la figlioccia, Gabriela (Yvette Monreal), e può starsene con le manone in mano?

Ovvio che no, e dunque dal ranch di famiglia – quale? “Finalmente avevo la famiglia che mai avrei pensato di avere” – se ne va in Messico (in realtà Tenerife più Bulgaria), con un messaggio sottoscritto dai cattivi da indirizzare a Trump: i confini non esistono, al più un misero filo spinato da abbattere col pick-up, altro che muro.

Comunque, tra clavicole spezzate a mani nude e sfregi a X sulla guancia, John prende tutti a martellate dall’Old Boy che è, infilza assi di cuori con la mitologica freccia e allestisce nel suo buen retiro un labirinto di tunnel tanto letale quanto pirotecnico: per rendere plasticamente l’incazzatura, ovvero il suo cuore strappato, non si limita a uccidere, ma uccide due volte, con grande dispendio di forze e munizioni.

È l’ultima volta, perché lesinare? Regia da “buonissima la prima” di Adrian Grunberg (Viaggio in Paradiso, 2012, con Mel Gibson), seconda unità dello “stalloniano” di lungo corso Vern Nobles, Last Blood ha grumi di intimità a rischio trombosi, ma quando scorre il sangue fila che è una meraviglia. A due pensionati, sia Stallone (73 anni) che la saga (37 anni), si può chiedere di più?

Certo, e nel montaggio scriteriato qui e là s’infila pure il nostro imbarazzo, ma “non c'è motivo di abbandonare la famiglia quando ce l'hai”, o no? Teniamoci Rambo, dunque, per l’ultima volta?