Amanda è poco più che una bambina, eppure già costretta a confrontarsi con l’immenso dolore causato dalla perdita della madre. Sola, può contare sull’unico affetto che le resta, uno zio ancora troppo immerso nella ricerca di se stesso per farsi carico della nipote. Ma è ciò che chiede la dura realtà.

Due figure diversamente segnate, incapaci all’apparenza di trovare una soluzione per uscire da una situazione tragica e senza vie di uscita. Amanda cerca e non trova la dedizione totale di cui solo la mamma era capace; David è inadeguato a sostenere un ruolo genitoriale, avendo inoltre egli stesso un conto in sospeso con la madre che aveva abbandonato lui e la sorella in tenera età. Ferite che non si rimarginano, si possono solo curare con il tempo.

Mesi che Mikhaël Hers racconta scandendo il ritmo della sofferenza che si allenta grazie a un sorriso, una cena in allegria, una passeggiata, una notte racchiusa in un abbraccio tra zio e nipote.

E la tenerezza finisce allora per essere il segno di un’opera che parla sì di morte ma guarda costantemente alla vita. Un film che è un inno alla sopravvivenza e all’amore, ma che non dimentica di raccontare gli anni bui che stiamo vivendo.

 

Ennesimo tassello di un cinema in costante fermento, Amanda (titolo originale) è anche un ritratto della Francia. Una fotografia intima, fragile, pronta ad essere strappata. Non per questo rassegnata, bensì  protesa con lo sguardo verso il futuro. Un paese nascosto dietro il volto espressivo della piccola e bravissima Isaure Multier che non sfigura affatto accanto a  Vincent Lacoste, attore tra i più dotati della generazione dei trentenni.