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“Che differenza c’è tra la carbonara, Angelina Jolie e José Mourinho?”. La risposta nel documentario di Stefano Urbanetti Quattro quinti, in cartellone alla XVIII Festa del Cinema (Special Screening). Quattro quinti, ovvero i quattro giocatori ciechi – il portiere è normodotato – del calcio a cinque dei non vedenti. Regista, sceneggiatore e montatore, Urbanetti segue la Asdd Roma 2000 tra gioie, la Coppa Italia, e dolori, lo Scudetto sfumato all’ultima giornata di campionato. Ma c’è di più, e fa la differenza: suoni e rumori, valore aggiunto al deficit visivo, affidati in primis al pallone, che farcito di microplacche di metallo rassomiglia le maracas e asseconda l’orientamento dei giocatori.
Il capitano Vincenzo col numero 10, un cinquantenne dall’invidiabile controllo palla e una “scuola calcio” spesa sui campi incolti al collegio; il musicista Rocco, detto il professore, l’intellettuale della squadra; il fisioterapista Peppe, bomber di razza; e poi Jacopo, difensore sul campo e ultras allo stadio, gli allenatori Luca e sauro, il portiere Mariano: corpi, volti e anime non figli di un dio minore, ma protagonisti di uno sport che lungi dall’essere disabilitato è straordinario per prodezze stilistiche e natura intrinseca. “La bellezza è un’opinione”, vuole Jacopo, ma questa è oggettiva: il calcio per non vedenti si vede benissimo.
E non c’è spazio solo per godersi le singolar tenzoni tra Roma, Bari, Lecce e Crema, per felicitarsi dell’apertura di una scuola calcio capitolina, ma per sapide elucubrazioni filosofiche: “Nella bellezza che voi (leggi: noi, NdR) vedete spesso sfugge se la persona dentro è gradevole o no. Certo, davanti a una bella figa pensi a tutto quel che ci puoi fare…”. Palla al centro.