Hard-boiled, atmosfera natalizia, violenza sregolata e umorismo nero. Ci ricorda qualcosa? Torniamo con la memoria a Kiss Kiss Bang Bang e ritroviamo, a distanza di sette anni dall’uscita nelle sale internazionali di The Predator, un autore di cui s’era sentita la mancanza – almeno guardando al panorama del noir e dell’action statunitense gloriosamente old school – Shane Black.

L’occasione è ghiotta: adattare per il piccolo schermo (trattandosi di un film targato Prime Video) la letteratura di Richard Stark, che – tanto per tracciare un percorso ideale – resta sospesa tra Mickey Spillane, Jim Thompson, Lee Child e Jonathan Lethem. Shane Black non si tira indietro, pur dovendo rinunciare a Robert Downey Jr., inizialmente ingaggiato per il ruolo dell’iconico protagonista Parker e poi defilatosi, figurando esclusivamente come produttore esecutivo del film, in compagnia della moglie Susan.

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Mateo (Gabriel Alvarado), Grofield (LaKeith Stanfield), Zen (Rosa Salazar), Colonel Ortiz (Hemky Madera) and Parker (Mark Wahlberg) in PLAY DIRTY. Photo Credit: Jasin Boland/Prime © Amazon Content Services LLC (Jasin Boland/Prime)

Il titolo in questione è Play Dirty, divenuto rapidamente un vero e proprio caso, tanto su Reddit quanto su una moltitudine d’altri forum americani di dibattito cinematografico. La ragione? L’uso eccessivo della CGI e l’umorismo buffo, protagonista instancabile d’un lungometraggio che avrebbe dovuto essere cupo, violento e tensivo, e che invece non lo è. Quanto c’è di vero? Poco.

È curioso che, a qualche mese di distanza da Fountain of Youth – L’eterna giovinezza di Guy Ritchie, anche Shane Black – autore di cinema noir e action dalla scrittura umoristica e dallo sguardo estremamente riconoscibile – decida di ripercorrere le tracce avventurose dell’heist movie storico, proprie del dittico ormai cult National Treasure, firmato da Jon Turteltaub e Jerry Bruckheimer.

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Grofield (LaKeith Stanfield) in PLAY DIRTY. Photo Credit: Jasin Boland/Prime © Amazon Content Services LLC (Jasin Boland/Prime)

Se l’operazione di Ritchie è risultata però fallimentare – la scrittura ignorava a qualsiasi livello l’approfondimento storico, di fatto protagonista – quella di Black si muove pericolosamente tra rivisitazione e beffa, calata questa volta in ambientazioni quasi interamente metropolitane e raramente selvagge. Ecco perché il protagonista effettivo del film non è mai il geniale, infallibile e testosteronico Parker/Wahlberg, ma lo scenario newyorkese, costantemente innevato e, al tempo stesso, gustosamente insanguinato.

A differenza dei canonici plot, l’inseguimento adrenalinico e spettacolare di Play Dirty – la cui forza di scrittura latita, affidandosi con merito a quanto compiuto sul visivo – non ha più niente a che fare con la solita questione delle guardie e dei ladri, bensì esclusivamente coi ladri: questa volta dolenti e, al tempo stesso, sregolati, assai distanti dunque dall’impostazione soderberghiana. Black svela immediatamente le carte: non importa se la violenza feroce s’abbatta sugli uomini o sulle donne, così come non importa se l’oggettificazione dei corpi appaia come tale, eludendo (almeno in apparenza) qualsiasi possibile spiegazione e conseguenza, facendosi beffe dapprima del politically correct e poi del Me Too.

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Zen (Rosa Salazar) and Parker (Mark Wahlberg) in PLAY DIRTY. Photo Credit: Jasin Boland/Prime © Amazon Content Services LLC (Jasin Boland/Prime)

L’ironia fa da padrona, questo è vero, ma non è detto che la cupezza venga meno – anzi, tutto il contrario. Ci sono regole non scritte, che hanno a che fare tanto con la morale di ciascun criminale quanto coi dolori del passato, e ancora con la giustizia fai-da-te e le questioni di cuore. Non contano gli amori, o meglio: non esistono, scegliendo d’appartenere a questo mondo. Lo insegnava a suo tempo il Neil McCauley di De Niro in Heat – La sfida, così come l’Ethan Hunt di Tom Cruise in M:I. E il ladro spietato e solitario, efficacemente interpretato da Mark Wahlberg, lo sa bene: ecco perché Play Dirty non rischia mai d’apparire un action convenzionale – o, peggio, banale e scontato.

Lo dimostra con forza l’interminabile scia di sangue, morte e disillusioni che Parker porta con sé, in nome d’un cinema adulto mai andato perduto. E ancora, la dimensione più che riuscita del buddy movie – funziona la strana coppia Mark Wahlberg/LaKeith Stanfield – che torna alle origini del cinema di Black (sua la sceneggiatura del primo Arma Letale, diretto da Richard Donner), riproponendo qualcosa che, se non riesce appieno, quantomeno intrattiene e diverte con merito. Bentornato, Shane Black. Se i baci mancano, le pallottole esplodono. Eccome se esplodono!