In concorso alle Giornate degli Autori a Venezia e tratto dal libro omonimo di Enrico Deaglio, Patria di Felice Farina ci pone dinanzi a uno scenario ormai ben noto: quello di una fabbrica in procinto di chiudere, a Torino.

Salvo (Francesco Pannofino), rude operaio siciliano e berlusconiano della prima ora, decide di arrampicarsi sulla torre dello stabilimento per dare il via alla protesta. Lo affiancano Giorgio, operaio rappresentante sindacale, e Luca, il custode ipovedente e autistico della fabbrica, assunto come categoria protetta. La protesta, con alterne fortune, durerà una notte in cui l'inevitabile scontro di vedute fra i due protagonisti e il terzo, più ingenuo comprimario, si alterna alla ricostruzione degli ultimi trent'anni di vita italiana, affidata a riprese d'archivio.

In tempi di cross-over come questi, là dove cresce sempre più il numero dei documentari che intraprendono i sentieri della fiction, il nostro è uno di quei casi in cui la fiction assume, a tratti, le movenze e le tecniche del documentario. Eppure, vero nume tutelare dell'operazione, come ammesso candidamente dallo stesso Felice Farina, è il maestro Alain Resnais col suo capolavoro Hiroshima, mon amour, per quella straordinaria intuizione di aver voluto innestare, all'interno della diegesi narrativa, immagini di repertorio e finzione scenica.

Il film di Farina, infine, è necessario perché ci riporta, e non è mai abbastanza, all'emergenza del lavoro e a problemi autentici come la dislocazione industriale che attanagliano il Bel Paese ormai da decenni senza che la politica riesca a offrire soluzioni concrete.

Lodevole, inoltre, la volontà di recuperare, attraverso il filtro del singolo personaggio, alcuni eventi chiave della nostra storia recente, dagli anni di piombo sino allo stragismo mafioso e a Tangentopoli, per finire con l'ormai (ex) Cavaliere, fonte perennemente inesauribile di ludibrio e di spettacolo.

Tuttavia, nel film di Farina c'è qualcosa che non funziona e questo qualcosa è da ricercare nel sottile filo narrativo che lo pervade, a volte fin troppo semplicistico nel contrapporre personaggi che vorrebbero essere simboli, ma che sovente scivolano nel caricaturale o nel grottesco (apertis verbis, Pannofino operaio siculo sopra le righe).

Belle le riprese aeree, lieve l'uso della camera, ma Patria è un film italiano, forse troppo, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.