Wyoming, giorni nostri. In un ranch compare all'improvviso una grande voragine circolare nel terreno. È senza fine, è un enorme buco senza fondo. L'uomo che fa questa scoperta, Royal Abbott (Josh Brolin), decide di tenerla per sé.

Western, fantascienza e family drama. La recente produzione seriale ci ha mostrato come i generi più diversi possano convivere nello stesso contenitore, a volte con ottimi risultati, altre meno. Il genere western, coi suoi valori luminosi e tanto amati (o odiati) dal popolo americano, ultimamente sembra essere una calamita che attrae creatori e produttori.

Basti pensare a serie di successo come Yellowstone, ma soprattutto a Westworld, che già ha mescolato più generi, distopia e utopia comprese. Outer Range insiste con l'immaginario collettivo di polvere, cowboy e mandrie, innestandoci un dramma familiare potente, anzi, più drammi familiari contemporaneamente, e ci aggiunge vaghi richiami al dio Crono, una linea di detection capitanata da un'aspirante sceriffa nativa americana e omosessuale, eventi inspiegabili, crisi mistiche, apparizioni sovrannaturali, paradossi temporali.

Molta carne al fuoco, dunque, e non sarebbe certo un problema se il ritmo riuscisse sempre a stare al passo delle numerose linee da seguire.

Invece questo non accade, ed è un vero peccato, perché le premesse per un'ottima serie ci sono tutte: i personaggi sono interessanti, gli attori e le attrici in parte, le location scelte con cura, la regia degli episodi affidata ad alcuni dei migliori talenti in circolazione. E la colonna sonora è a dir poco strepitosa, riunendo pezzi recenti come The Devil Wears a Suit & Tie di Colter Wall a successi anni ottanta come Angel of the Morning di Juice Newton, insieme a classiconi come Cry Cry Cry di Johnny Cash e Mule Skinner Blues nella versione di Dolly Parton. La musica, va detto, riveste un ruolo importante, accompagnando alcuni dei momenti più intensi fino ad arrivare quasi a micro incursioni nel musical.

Eppure, nonostante tutto questo, la promessa di uno show che tenga incollati allo schermo viene mantenuta in maniera incostante, passando da episodi che brillano ad altri si trascinano stancamente. Nel complesso il prodotto è godibile, ma lascia quella sensazione di insoddisfazione frutto di una scrittura non accurata, che è il vero cuore della questione.

Outer Range, Perry Abbott (played by Tom Pelphrey), Rhett Abbott (played by Lewis Pullman), Royal Abbott (played by Josh Brolin)
Outer Range, Perry Abbott (played by Tom Pelphrey), Rhett Abbott (played by Lewis Pullman), Royal Abbott (played by Josh Brolin)
Outer Range, Perry Abbott (played by Tom Pelphrey), Rhett Abbott (played by Lewis Pullman), Royal Abbott (played by Josh Brolin)
Outer Range, Perry Abbott (played by Tom Pelphrey), Rhett Abbott (played by Lewis Pullman), Royal Abbott (played by Josh Brolin)

La scelta di far avanzare la narrazione per accumulazione, aggiungendo sempre più domande che restano irrisolte e nessuna risposta, è uno stile che ormai ha fatto il suo tempo. Se per una serie come Lost era accettabile impilare misteri uno sull'altro al grido di "add more drama", adesso il pubblico è meno ingenuo e molto più scafato, e non si può accontentare di una storia che a volte sembra non avere una direzione precisa. I pregi di questa serie, tuttavia, non sono pochi.

Apparentemente Outer Range si muove sul confronto di due poli opposti e inconciliabili: il bene e il male, il reale e l'impossibile, i buoni e i cattivi, la famiglia che lotta per restare unita sulla terra che gli appartiene da generazioni e la famiglia in preda al capitalismo più sfrenato, capace anche di mettere figli contro padri, fratello contro fratello in nome del possesso, dei soldi, del potere.

Invece, e questo è molto affascinante, quello che narra davvero sono tutte le infinite sfumature che si trovano in mezzo alle due estremità, ovvero la vasta gamma di grigi di cui è fatta la materia sociale in cui tutti noi ci muoviamo. Inizialmente non abbiamo dubbi su dove risieda il bene e il male tra i due vicini di ranch ed eterni rivali, gli Abbott e i Tillerson.

I primi non sono certamente la famiglia del Mulino Bianco, ma sono saldamente (così pare) ancorati ai sani valori americani di una volta, con la madre casa e chiesa che cucina per tutti e gli uomini che si muovono a cavallo. Gli altri ostentano ricchezza, la madre vive altrove da tempo e si sposta in elicottero, non si fa baciare dai figli per non rovinare il trucco. Ma anche questo è il sogno americano, no?

Royal Abbott scopre la voragine in una zona dei suoi pascoli, ma improvvisamente anche i Tillerson sono interessati proprio a quella parte del terreno, e il capofamiglia Wayne (Will Patton) ne ha già disposto il furto legalizzato con bustarelle per annetterla al proprio ranch. Gli Abbott non se la passano benissimo: la nuora di Royal, Rebecca, è scomparsa misteriosamente quasi un anno prima, e suo figlio Perry (Tom Pelphrey) cresce la loro bambina, Amy, con l'aiuto di nonna Cecilia (Lily Taylor).

L'altro figlio, Rhett (Lewis Pullman), insegue la vittoria nel rodeo della contea per emulare senza grandi convinzioni personali le gesta del padre in gioventù. Sempre dagli Abbott intanto si presenta una giovane hippie ricca e un po' svalvolata, Autumn (Imogen Poots), e si accampa tra i pascoli con la sua tenda pagando Royal con bei dollaroni.

Poi, durante una serata ad alto tasso alcolico, i figli di Royal e Wayne se le danno di santa ragione e alla fine della scazzottata un rampollo dei Tillerson rimane a terra, morto. Royal non ci pensa due volte a fare quello che va fatto, ovvero far sparire, stricto sensu, il cadavere, per tenere insieme quel che resta della sua famiglia. Chi sono i buoni, allora?

Il capitalismo è diventato qualcosa che diverge radicalmente dallo spirito della frontiera che ha mosso l'epica del West, e questa riflessione è incarnata precisamente nel personaggio di Brolin, che è un uomo di altri tempi, un cowboy sradicato dalla sua epoca e trapiantato violentemente nel presente, un presente che non riesce bene ad afferrare, e tormentato da un passato con cui non sa venire a patti.

 

Non ci sono buoni e cattivi in senso classico, nella serie: tutti i personaggi sono travolti dagli eventi e riescono a rispondere solo con azioni nel migliore dei casi dettate dall'istinto di sopravvivenza, nel peggiore dai luoghi oscuri che si portano dentro (o in cui precipitano letteralmente) e rendono impossibile una visione chiara del presente.

Il tempo e lo spazio vengono compressi, stravolti arbitrariamente da forze invisibili, e l'unica persona che sembra avere presa su questo caos è una pazza invasata che si incide la pelle con il simbolo di una famiglia che ha perso la direzione e si sfalda progressivamente, similmente alla società americana di oggi.