Rudolf Nureyev è stato uno dei più grandi ballerini del ventesimo secolo. Nessun altro interprete della danza classica ha mai suscitato nel pubblico la stessa vibrante eccitazione. Aveva tutto: fascino e genio. E soprattutto, anche se talvolta maldestro e imperfetto, aveva lo spirito giusto.

Il regista Ralph Fiennes ripercorre la vita di questo leggendario ballerino dall’infanzia sofferta nella gelida città sovietica di Ufa all’educazione alla scuola del Kirov a Leningrado, dal suo primo viaggio fuori dall’Unione Sovietica a Parigi nel 1961 fino al controverso allontanamento dalla sua patria.

A interpretare il giovane e ribelle Nureyev è il ballerino ucraino Oleg Ivenko, mentre Fiennes, oltre a dirigere il suo terzo film, si ritaglia il ruolo del famoso maestro russo di ballo Alexander Pushkin. Nel cast anche Adèle Exarchopoulos nella parte della giovane parigina Clara Saint.

Basato sul romanzo di Julie Kavanagh intitolato Rudolf Nureyev: The Life, Nureyev - The White Crow non riesce però pienamente a restituirci la storia dell’uomo che ha cambiato la danza. In parte per questioni di durata, il libro (in Italia edito da La nave di Teseo) consta di ben 874 pagine, in parte per via di una struttura narrativa troppo classica e convenzionale, costellata da flashback nella Russia degli anni ’40, che non rende sullo schermo la portata dello spirito anticonformista e rivoluzionario del grande danzatore.

Al centro c’è il divario ideologico tra est e ovest al culmine della guerra fredda e la diserzione del giovane Rudolf, ma il taglio su questa parte della vita di Nureyev non convince fino in fondo e soprattutto non rende la magia di quel ballerino che ha portato la danza su un altro livello. Il balletto è fatto di regole e disciplina, ma bisogna anche avere dentro una storia da raccontare. Qui c’era. Peccato però che ci siano anche troppe convenzioni. Le stesse che lui ha sfidato e rotto, nel film invece abbondano.