Con l’ultimo, Post tenebras lux, il messicano Carlos Reygadas vinse il premio della regia a Cannes 2012, e la stessa perizia formale è avvertibile nel suo nuovo lavoro, Nuestro tiempo, in Concorso a Venezia 75. Interrogandosi se l’amore sia una questione relativa, ovvero esista nella misura in cui l’amato/amata non ci danneggi, inquadra con qualche connessione biografica una famiglia agiata che vive nell’entroterra messicano pascendo e addestrando tori da combattimento: Esther (Natalia Lopez, moglie di Reygadas nella vita) è a capo del ranch, mentre il marito Juan (Reygadas stesso) si divide tra la poesia, di cui è uno dei massimi esponenti mondiali, e il lavoro con le bestie.

La situazione si incrinerà quando Esther si innamora di un addestratore di cavalli, l’americano Phil: saprà Juan gestire la crisi?

Visivamente ci sono spiragli, trovate e sequenze bellissime, che forse non casualmente riguardano sopra tutto gli animali: lo sventramento di un mulo da parte di un toro, le corse, i paesaggi. E non mancano scene di grande suggestione, dove l’apporto musicale è fondamentale: il concerto per timpani, per dirne uno. Come si diceva il talento di Reygadas non si conosce di certo oggi e, conferma, non si discute, ma sarà la durata proibitiva (due ore e 53 minuti), sarà il deficit d’empatia dei protagonisti, sarà un certo schematismo poetico, Nuestro tiempo oltre a perdere qualche colpo – il ritmo non è il suo forte – rischia di risolversi, e mutilarsi, nell’eccesso di stile, scotto inevitabile e forse calcolato per una sostanza radicale e solipsistica.

Si diceva della costruzione a tesi: a parte l’ovvio imperialismo insito nel conquistatore yankee, Reygadas si bea dei suoi, in primis di sé, filosofi rancheros, poeti vaccari e laureati, cui attaglia – nella corrispondenza di amorosi dissensi tra Juan e Phil – i finimenti di un dialogo amoroso. Loro, i padroni, i colti discettano e intellettualizzano le corna, mentre i tori copulano e caricano, e in mezzi i dipendenti alzano il gomito, chiedono sponsorizzazioni per auto da corsa e, dunque, si risolvono in un medio dove virtus non stat: classista, epperò pervaso da sensi di colpa borghesi, difettoso d’empatia e formato familiare, quanto è vicino Nostro tempo al Roma di Cuaron. Per tacere della forma, che ha fascino da vendere e, forse, per svendersi.