Salmi cantanti all’unisono uniti al suono dell’acqua che fluisce e del fuoco che divampa. E mentre ogni singolo elemento che costruisce la cattedrale gotica più celebre al mondo brucia e si frantuma, questo rito si ripete, ininterrottamente.

Jean-Jacques Annaud è tornato, dopo sette anni dal suo ultimo film, con l’intento di restituirci uno spaccato di quello che è stato, e di quello che sarà, e per fasciare una ferita, forse, ancora troppo aperta: le fiamme all’interno di Notre-Dame.

L’Orso, pellicola del regista del 1988, incentrava la sua favola sul delicato rapporto tra uomo e natura, quest’ultima mostrata nella sua interezza. In Notre Dame in fiamme il tema si ripete, il legame si replica, ma l’armonia si converte in brutale; la natura è la sola figurazione di una materia tanto affascinante, quanto crudele.

Era il 15 aprile del 2019. La macchina da presa segue un giovane uomo tra le strade di Parigi, affollate come sempre da milioni di turisti; è il suo primo giorno di lavoro come addetto alla sicurezza della cattedrale. Si accende una sigaretta e il Primo Piano si sposta sul colore rosso generato dal bruciare del tabacco e dalla combustione, origine del male dell’atto di aspirazione.

L’odore si può sentire, il rumore della cenere che lentamente si consuma, anche.

Altri uomini, operai sul tetto dell'edificio, vengono ritratti nell’atto di fumare, fra chiacchiere e mozziconi solo parzialmente spenti su quelle mura rette da oltre otto secoli.

Jean-Jacques Annaud conferma così la premessa iniziale: l’affermazione della procura di Parigi che ha orientato le indagini sulle cause del rogo su un cortocircuito elettrico o su una sigaretta spenta male, coincide con l’intenzione del regista di voler dare, già dall’incipit, origine alla sua storia.

Nel tardo pomeriggio del primo giorno della Settimana Santa, l’emblema della sacralità parigina si riempiva di civili e visitatori, fatti evacuare subito dopo le 18.17, quando l’allarme, riecheggiando di quel suo suono fastidioso, aveva iniziato a lampeggiare come manifestazione di richiesta d’aiuto. Da lì, Notre Dame in fiamme, prosegue nel riportare nell’evidente cartello “[quello che vedrete] è tutto vero”, le ventiquattro ore che hanno preceduto la mattina del 16 aprile, quando la maestosa Nostra Signora è stata portata in salvo.

Un prodotto ibrido, un found footage realizzato con reperti storici di immagini e video ripresi dai testimoni, increduli e rapiti, uniti alla personale ricostruzione degli eventi di Annaud, di quel meraviglioso e terribile errore, intreccio tra uomo e natura. Consapevoli, o forse non troppo, di essere inoltre il più grande impedimento per i soccorsi, nonché personaggi attivi del fenomeno mediatico tanto impiegato nell’era del metaverso.

I veri eroi, tuttavia, sono loro: i vigili del fuoco, ciascun pompiere spogliato del suo ordine e grado non curante del pericolo e del rischio per la vita, quanto ostinato nel salvare la grande cattedrale. Il coraggio non gli manca, ma neanche il respirare forte, tra i cunicoli stretti, tra il fumo che si manifesta con violenza, rivestendo l’intera Chiesa.

Il regista sembra ostinato nel voler realizzare una pellicola valoroso, ardita, tra i rintocchi delle campane, cinguettii di volatili e riprese di volti terrorizzati. In parte ci riesce: se da un lato non manca la tensione, il calore, il senso di asfissia, nonché la passione in ogni accezione trattandosi di un luogo sacro, dall’altra l’utilizzo di tecniche come lo split screen sembrano privi di naturalezza, al limite con l’amatoriale.

Eppure Jean-Jacques Annaud è eccezionale a descriverci la contrapposizione parigina, il legame della città – e di chi ci abita – con i suoi luoghi e la testimonianza storica nei minimi dettagli dell’evento.

Victor Hugo nel 1482 e Gary Trousdale con Kirk Wise nell’adattamento animato del 1996, immergevano nella palette di colori scuri e cupi e fiamme rosse la capitale francese e la sua grande Signora. Un disastro che la storia e oggi Annaud ci restituiscono.