La carne. Ossessione che accompagna Shinya Tsukamoto e una filmografia lunga ormai quasi 30 anni. Le riflessioni uomo-macchina prima, la relazione tra corpo-ferro-metropoli, le martellanti psichedeliche ingerenze tecno-digitali, l'immagine riflesso: da Tetsuo a Tokyo Fist, da Bullet Ballet a A Snake of June, fino al più recente Kotoko, il regista nipponico non aveva ancora esplorato il più violento dei terreni, quello della guerra.
Torna indietro, Tsukamoto, e porta il suo cinema, postmoderno e schizofrenico, su un'isola delle Filippine. Anno 1945, le forze armate imperiali giapponesi sono avvilite e in terribile difficoltà, tagliate fuori dagli aiuti e dalle provviste degli alleati. Braccati dagli americani e dai guerriglieri, i soldati nipponici si troveranno ben presto senza più nulla da mangiare...

Tratto dal romanzo di Shôhei Ooka, La strana guerra del soldato Tamura, il film di Tsukamoto (di fatto, "remake" dell'omonimo Nobi di Kon Ichikawa) è un incredibile viaggio nelle viscere del degrado umano. Fino a dove può abbassarsi l'uomo pur di sopravvivere? Il delirio visivo e sonoro di Tsukamoto - come sempre, anche montatore e direttore della fotografia (con Satoshi Hayashi), nonché protagonista del film - si sovrappone alla delirante caduta dell'uomo, che sprofonda in un baratro dove neanche la bestia più ignobile è mai finita.

Quando l'atroce follia della guerra incontra l'ipercinema allucinante di Tsukamoto: violenza e gore, macchina a mano impazzita e inaspettati lirismi, il regista nipponico continua ad "abbuffarsi" di suoni ed immagini impossibili, affidando ancora una volta a Chu Ishikawa il compito di sottolineare musicalmente, con altrettanto impeto, le derive psichedeliche di una macelleria audiovisiva che non lascia indifferenti. Cinema cannibale.